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A Walt Disney Silly Symphony!

mercoledì 31 dicembre 2014

Tu is megl' che uan: come chiudere l'anno nel migliore dei modi

Sorvolando su pessime esperienze come il terzo Lo Hobbit e l'inguardabile Maleficent, così si chiude l'anno, con due miei amori di vecchia data, David Fincher e Gabriele Salvatores. In particolare il primo rappresenta una tappa enorme della mia adolescenza. Entrambi hanno proposto qualcosa che mi è caro, il ritorno ai temi classici con L'amore bugiardo (Gone Girl in lingua originale) per l'americano, lo stravolgimento dei propri per l'italiano.


Mi innamoro di Fincher quando lo fanno tutti, in una delle occasioni in cui sia stato maggiormente assimilato in vita mia: quel Seven che, tra l'altro, non so quanto oggi potrebbe dire la sua rispetto al contesto dell'epoca (mi prometto di rivederlo al più presto per dare una risposta). Poi è stato un sodalizio continuo: da Fight Club, a Panic Room, perfino a Zodiac che ho adorato molto più di tanti appassionati del regista americano. Quand'è che mi sono perso? In The Social Network. E non perchè fosse un brutto film, anzi. Ma per le sue caratteristiche biografico-romanzate che, in qualche maniera, lo allontanavano dallo stile tipico di Fincher. Se capita occasione di parlarne dico sempre che non sembra neanche un film suo. Da lì in avanti ho maturato la convinzione che Fincher debba dirigere storie originali, o quanto meno non con tonalità storiche così marcate. 
Non è una considerazione molto oggettiva, ma L'amore bugiardo ha tra i suoi pregi quello di confermare il ritorno del regista al suo modo di fare cinema. Un modo che già Millennium aveva anticipato qualche anno fa, ma che ora sembra assurgere a nuova maturità. Chi era con me ha definito Gone Girl  un progetto coraggioso, e mi sento di dare piena ragione a questa affermazione. E' proprio come si snoda la trama ad uscire fuori dai canoni della banalità e della prevedibilità, elementi che, tradizionalmente, appartengono a Fincher da quando lavora. Il tutto in modo coerente, non necessariamente didascalico (forse qualche approfondimento in più avrebbe giovato, ma non fa nulla) e un finale assolutamente perfetto. Cos'altro si può dire? Nulla se non che la Pike sovrasta letteralmente qualsiasi altro collega coinvolto nelle riprese. Affleck è quello che è, non gli si chiede poi tanto, ma se non altro il suo compitino riesce a farlo. Bentornato David.

Gabriele, Gabriele...sì, non ti posso dimenticar. Non c'è onestamente paragone con la storia d'amore per Fincher, ma anche Salvatores ha realmente dipinto la mia passione per il cinema, nonostante un'incostanza notevole (ho adorato Marrakech Express, Mediterraneo, perfino Sud, Io non ho paura, ma ho detestato come pochi altri Amnèsia, Denti, Puerto Escondido). Stavolta ci riprova, 17 anni dopo Nirvana
Non è lo stesso genere, ma è come se lo fosse: quale differenza volete che faccia per un regista italiano uno sci fi tecnologico rispetto ad un racconto fantastico di un supereroe? Poco o nulla, per gli italiani al lavoro sono lo stesso, sconfinato genere: quello che non ci appartiene. Aggiungerei purtroppo, dal momento che - a mio modesto avviso - uno dei (tanti) motivi del crollo patriottico di questo Paese risiede anche nel fatto che il nostro cinema (sebbene artisticamente eccelso, anche se non ai botteghini o per i premi mondiali) non sia nè per bambini nè per adolescenti, ma per colti. O quantomeno per persone di un minimo bagaglio, non certo in grado di apprezzare un film di Pupi Avati quanto quello di un qualsivoglia direttore americano.
Il ragazzo invisibile prova a rompere con questa luminosa (ma incompleta e quindi anche negativa) tradizione, come già Nirvana fece a suo tempo. Ci riesce? Molto meglio di quanto ci si potesse aspettare, meno di quanto avrebbe dovuto fare. Gli effetti, le musiche e l'impatto visivo ci sono tutti. Salvatores ha compreso immediatamente che per riuscire in un film del genere una cosa non la si poteva sbagliare: la scelta del protagonista. E la missione è compiuta, l'esordiente Ludovico Girardello ha uno sguardo magnetico e interpreta alla grande il personaggio: in certe fasi buca letteralmente lo schermo, in altre (quelle di "distensione" dal tema iniziale, per fortuna non la maggioranza) crolla visibilmente, ma ad appena 12 anni non si può non immaginare un gran bel futuro nella professione, se mai deciderà di proseguirla e di studiare.
La sceneggiatura del film tiene tutto a galla in modo coerente, ma nelle fasi di collegamento stenta parecchio: non le danno una grossa mano gli attori secondari, in particolare quelli che interpretano i compagni di scuola del ragazzo, spesso imbarazzanti (il nostro metro è viziato anche dal fatto di aver visto sempre opere del genere in inglese, ed è difficile valutare la capacità degli attori non protagonisti in questo modo). Oltre la mano, offre un vero e proprio braccio Bentivoglio, attore che negli ultimi anni ha avuto una crescita pazzesca (ricordo la sua interpretazione ne Il Capitale Umano di Virzì).
Nel complesso l'ho apprezzato al di sopra della sufficienza. E speriamo che sia di stimolo per progetti futuri. Abbiamo bisogno di storie per ragazzi:  come il pane.

Buon anno a tutti.

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