Copertina

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A Walt Disney Silly Symphony!

domenica 19 luglio 2015

Waiting for inutili polemiche



Perdonate l'inglesismo, è una pratica che odio con tutto me stesso: ma questo rappresenta uno dei (rari, per fortuna) casi in cui il prestito idiomatico dagli anglosassoni è naturale e non forzato, nonchè utile per rendere l'idea.





Tornando a noi! Il video di cui sopra è il rendering (altro inglesismo, oggi è proprio una pessima giornata) della Stazione Duomo di Napoli (Linea 1), come verrà completata. Si scorge una meravigliosa cupola trasparente in vetro e acciaio per mettere in bella mostra, anche al di fuori della stazione e direttamente sulla piazza, lo splendito Gymnasium o tempio di augusteo: una struttura che accoglieva nell'antichità i giochi olimpici dedicati, appunto, all'Imperatore Augusto.
Semplicemente stupenda e non dovrebbero esistere, in un mondo normale, questioni a riguardo: meglio di Municipio e decisamente superiore ad alcune che non ho apprezzato per nulla tipo Università. Una vera meraviglia storica la cui bellezza in nessuna realtà parallela potrebbe essere criticata.
Ma siamo a Napoli.

Attendo infatti le polemiche inutili dei napoletani incazzati ed esasperati che si lamenteranno, nell'ordine:
  • 1) Del costo proibitivo
  • 2) Dei napoletani stessi che la ridurranno in poltiglia
  • 3) Dei tempi di frequenza dei treni
  • 4) Eventuale utilizzo di materiali scadenti e falle progettuali a causa di assessori, progettisti e ditte corrotte.

Fattore importantissimo: non si lamenteranno di questi fattori nello specifico, ma mettendo in discussione la bontà di tutto il progetto, la sua stessa esistenza. Sarà una pioggia costante di insulti alla stessa esistenza dell'opera, alle modalità con cui è realizzata. Non una parola, per fare il primo esempio che mi viene in mente, sarà sprecata contro i tempi biblici di inaugurazione. 

Insomma, sarà messa in piedi tutta una serie di verità che non c'entrano assolutamente nulla con il valore di una struttura del genere, una delle poche che si costruisce in una città disastrata come Napoli.
Chissà se prima o poi si diffonderà l'idea di mettere in galera gli incivili, i politici corrotti o i lavoratori scansafatiche invece di prensersela con la struttura in sé e con il patrimonio estetico che una città come Napoli dovrebbe mostrare sempre, non facendosi fermare da nessuno dei suddetti soggetti. Sarà chiedere troppo? Chissà.

Chissà se, poi, un miracolo venuto dal cielo porterà ammodernamento nella tristissima Linea 2 del capoluogo campano (una tratta inaugurata durante il fascismo che collega alle estremità i comuni limitrofi di San Giovanni-Barra e Pozzuoli passando per il centro): gestione da terzo mondo di Trenitalia, frequenze dei mezzi ogni 45 minuti (mi chiedo se in Kenya, ammesso che esistano metropolitane di cui confesso di non sapere nulla, se la cavano allo stesso modo), vetture paragonabili alle classiche locomotive regionali. Ma nessuno fa le barricate o si lamenta nei forum per quello scempio.

Meglio irrigidirsi mestrualmente per le stazioni dell'Arte per motivi che non c'entrano nulla con la loro essenza, tipo i treni che non passano frequentemente o i napoletani a cui, invece di augurare una galera perenne e senza sconti, è meglio non dare in pasto nuove strutture e opere pubbliche.




martedì 14 luglio 2015

Satoru l'amico, erede di Hiroshi l'icona


Oggi sono decisamente più lucido. Non ho scritto nemmeno una virgola sul blog, ieri, per la scomparsa di Satoru Iwata. Sono stato tutto il tempo a me possibile sul web, su facebook, a postare una serie di sensazioni spezzettate, in continua evoluzione, che venivano fuori dalla mia mente e, (anche se mi fa pena utilizzare la parola visto l'abuso che se ne fa sempre) dal mio cuore. E' stata una giornata talmente paradossale che mi era davvero impossibile produrre un pensiero coordinato.

Come ho scritto ieri sulla mia pagina facebook, Iwata è stato se non per tutti, ma sicuramente per la stragrande maggioranza degli appassionati Nintendo, IL Presidente. Entrò nelle nostre vite in un pomeriggio estivo del giugno 2004, attraverso questa conferenza E3 che, per varie ragioni, avrebbe rappresentato un rilancio per la compagnia senza precedenti nè, al momento, successori. 





Nessuno di noi avrebbe scommesso una lira su di lui, in quel momento difficile per Nintendo tutta. Nessuno di noi credeva che quell'uomo paffuto e dinoccolato degli ultimi dieci minuti di conferenza potesse sul serio rilanciare il marchio di Kyoto al vertice del mercato videoludico, dopo che con l'ultima ammiraglia, il Gamecube, non si era stati capaci di raggiungere le 25 milioni di macchine, battuti anche dall'esordiente Microsoft e letteralmente disintegrati dal successo strabordante di Playstation 2.

Saremmo stati smentiti in pochissimo tempo. La politica innovativa inaugurata dal nuovo Presidente col Nintendo DS e proseguita con il Wii avrebbe, nel giro di appena un paio d'anni, quasi monopolizzato la scena, portando la casa di Mario sul tetto del mondo dopo due generazioni in cui si era ritrovata ad inseguire senza successo la concorrenza.
Questo per rispondere alla miriade di post che hanno affollato i forum mondiali nella giornata di ieri che, purtroppo, non si è interessata solo di cordoglio ma anche di inutili manie di protagonismo.
"Nessuno nega le condoglianze, ma in Nintendo non ci stavano capendo più nulla" è il commento scriptato prodotto, in media, dall'oppositore  polemico medio.
I risultati della gestione Iwata sono lì a sottolineare l'inconsistenza di queste affermazioni. Certo, il Wii U, in termini commerciali, è stato un disastro, e il lancio della macchina, così come la sua stessa concezione, si sono pagate care, a causa della voglia di ricucire lo strappo nato da quell'antipatia mestruale che una parte di fan aveva stabilito con il Wii e soprattutto con il suo controller. Io stesso sono stato il più acerrimo nemico del Gamepad e della sua promozione.
Ma come direbbe chiunque dotato di un minimo di sale in zucca, solo chi non fa nulla non sbaglia mai. Non credo che, Ken Kutaragi a parte, esista un solo dirigente nella storia videoludica degli ultimi 30 anni ad aver raggiunto risultati minimamente paragonabili a quelli di Satoru Iwata. Il resto sono chiacchiere.  




Il peso enorme che ha avuto nella nostra storia si rileva anche per un elemento fondamentale: internet. Tutti noi abbiamo conosciuto la Nintendo "amministrativa" attraverso articoli e speciali sulle riviste cartacee. Siamo venuti così a contatto con gli idoli che hanno fatto parte della nostra infanzia e la nostra adolescenza di videogiocatori. Da Shigeru Miyamoto che ci venne subito presentato come il "creatore di Mario", a Gunpei Yokoi noto per aver inventato il Game Boy, fino a, naturalmente, la massima istituzione di Nintendo, ovvero il suo presidente storico Hiroshi Yamauchi.
Il vecchio samurai, almeno per me, è sempre stato un'icona. Non solo in senso figurato, ma anche sostanziale. Come tutti i bambini e ragazzi di quegli anni, su di lui leggevo qualche dichiarazione e qualche notizia specifica. Ricordo distintamente, ai tempi di Game Power, la presentazione del Nintendo 64, allora denominato Ultra, in uno specialone di un numero che, se non sbaglio, era dell'estate 1995. C'era una foto in cui lui appariva sul palco, probabilmente durante un keynote.
E' stata la prima volta nella mia vita che ho visto una sua immagine. La seconda sarebbe stata per lo Spaceworld (la fiera che Nintendo organizzava un tempo in Giappone) in cui venne presentato il Gamecube, ma si era già connessi alla grande rete, seppur con un modestissimo e pidocchiosissimo 56k che per caricare una foto impiegava una vita.
Insomma, prima dell'avvento di internet a velocità sostenibili non l'avevo mai sentito parlare, e pure dopo avrò visto sì e no un paio di video di qualche sua intervista. Di lui si era letto nel popolare Game Over di David Sheff, poi in articoli web sulla grandiosa storia sua e della compagnia che nel 1949 si preparò a guidare con successo, ulteriori approfondimenti che, dal 2000 in poi, si sono moltiplicati. Tutto materiale utile ad esaltarne la figura semplicemente incredibile, la personalità pazzesca, e la notevole onestà intellettuale. Ma non c'erano mai stati contatti reali per ovvie ragioni. Un'icona nel vero senso del termine, per tornare all'incipit.

Con Satoru Iwata invece siamo stati in contatto per più di 10 anni. Entra in carica nel 2002, ma noi lo iniziamo a vedere a partire dal giugno 2004. Prima nelle conferenze agli E3 di Los Angeles: lo vediamo parlarci del Nintendo DS, poi del fantomatico Revolution che sarebbe diventato il Wii. Poi nei keynote di qualche GDC, fino a quello, ormai storico, del Tokyo Game Show 2005 quando mostrava al mondo il wiimote. 
Ne abbiamo un ritratto più intimo e confidenziale con gli ormai storici Iwata Asks, in cui il Presidente intervistava gli sviluppatori (interni ma anche terzi) dei giochi in uscita per le console Nintendo. Continuiamo a vederlo costantemente nell'ultima creazione comunicativa partortita a Kyoto, quei Nintendo Direct all'inizio accolti con scetticismo da molti (me compreso) ma che ora rappresentano una parte importante dell'identità dell'azienda. 


Insomma, Iwata ci ha comunicato, ci ha parlato, ci ha presentato i suoi prodotti per un decennio abbondante. E' stato quasi un amico, oltre che un Presidente: un negoziante di fiducia che, certo non lavorando per la gloria, ci vende il suo ultimo ritrovato e ci da una pacca sulla spalla speranzoso di farci felici.  La passione con cui lo faceva è un aspetto non secondario, così come aver creato nuove tradizioni che sono ormai un patrimonio della storia di Nintendo.

Ieri ho pianto. E' difficile che succeda per una persona che, di fatto, non conosciamo direttamente. Però succede, casi simili li ricordo come se fosse ieri: Papa Giovanni Paolo II, Raimondo Vianello. Sono abbastanza sicuro che mi accadrà anche quando  il grande Giorgio Albertazzi non ci sarà più. Esempi diversi appartenenti a mondi diversi, ma con il tratto in comune di essere delle persone, anzi delle personalità. 
Personalità con cui, per un motivo o per l'altro, si stabiliscono dei legami che prescindono dalla conoscenza intima. Persone che ti accompagnano, che sono con te nel perseguimento delle tue passioni e dei tuoi interessi. Persone che lasciano il segno non solo nella storia, ma in te stesso. Una di queste persone era Satoru Iwata.

IL
Presidente che mi mancherà tantissimo.

Grazie.


mercoledì 8 luglio 2015

Quel lettore CD Nintendo? Macchè, quella SEGA che sprecò l'occasione d'oro

I rumor e i prototipi vintage mostrati negli ultimi giorni mi hanno portato un po' indietro nel tempo, precisamente all'anno 1991. Ma stranamente non voglio concentrarmi su Nintendo nè sui destini che avrebbe potuto concretizzare quell'alleanza con Sony mai realizzata, per quel lettore CD per Super NES che non vide mai la luce.
Io andavo di NES (senza super) e di Amiga allora, per gran parte dell'anno il Megadrive non avevo capito (giuro) nemmeno cosa fosse: se ne parlava in TV e mi aspettavo un giocattolo da robot. Insomma un rimbambito precoce. Per rendermi conto avrei dovuto aspettare la fine di quell'anno, se non ricordo male uno dei mesi autunnali, quando Casa Mia, un negozio di giocattoli molto famoso nel mio quartiere (tra l'altro ancora in vita) lo espose gloriosamente in vetrina. Fu in quel momento che capii, in modo del tutto ingenuo, che "per i giochi a cassette" non esisteva solo "il Nintendo" (lo chiamavo, come tanti, così).


La SEGA casalinga visse, nella mia classe, a scuola e nella mia comunità, una specie di successo a fuso orario posticipato: la scoprirono tutti a fine 1991, e non solo il Megadrive, anche il Master System che già esisteva da un po'. 
Ovviamente in sala ci si giocava già da anni: io stesso non voglio nemmeno contare quante 200 lire ho usato per  Wonder Boy in Monster Land, in quel bar di Roccaraso, ridente località montana abbruzzese, dove passavo una buona metà delle mie estati di bambino, dietro le urla di disperazione di mia madre: probabilmente il coin op per cui ho speso di più insieme a Street Fighter II (il che è sintomatico, visto che da metà anni '90 in poi avrò toccato sì e no un paio di picchiaduro).

Voi direte: ovvio che prima del 1991 nessuno parlasse delle console SEGA, già l'8 bit della futura casa di Sonic fu un mezzo flop e non superò le 15 milioni di unità in tutto il mondo, logico che non lo conoscesse nessuno. Eppure, da noi, ad un certo punto iniziò a fare gola a tutti, me compreso. In particolare dall'uscita del restyling divenne un oggetto del desiderio. Il sottoscritto lo invidiava tantissimo e ci giocava da un amico al primo Alex Kidd, a Danan: The Jungle Fighter, a Psichic World, per non parlare del cult Fantasy Zone.
Restò tutto un sogno: non vissi mai il Master System nè lo acquistai, lo recuperai solo in seguito, anni dopo, ma come puro retrogame. Compensai con un Game Gear che mi fece giocare a qualche titolo che adoravo letteralmente (Lucky Dime Caper, Castle of Illusion, lo stesso primo Sonic).  Poi uscì Game Power, la prima rivista che abbia mai letto in vita mia, e lì si capì che SEGA era un marchio in ascesa, soprattutto sul fronte delle console a 16 bit. Un mezzo miracolo di una compagnia che appena un paio d'anni prima non arrivava neanche al 6% di un mercato console completamente dominato da Nintendo. Poi alcune scelte coraggiose, tra cui aver lanciato lo stesso Megadrive/Genesis nel precoce 1988 con un hardware che N non sarebbe riuscita mai ad umiliare veramente, le diedero la storica occasione di giocarsela. 



Il duo Tom Kalinske - Al Nilsen (presidente e vice di SEGA of America) è stato, probabilmente, quello che ha portato davvero "la grande S" in una dimensione che non aveva mai sognato prima. Insieme a fattori a loro pre-esistenti, come i due anni di vantaggio nei 16 bit proprio sul SNES nel mercato più importante del mondo, quello americano, e al fatto che, pur con fatica, erano riusciti a schiodare diverse compagnie, tra cui Acclaim, dallo sviluppo esclusivo sul Nintendo Entertainment System.
Sarebbero riusciti spezzare il legame d'acciaio che legava Nintendo ai rivenditori e alla grande distribuzione: furono talmente cocciuti da convincere, dopo mesi di insistenza,  la popolare catena Wallmart a vendere il Genesis, dopo che la dirigenza aveva declinato l'offerta per ben due volte. Aggressività è puro eufemismo: acquistarono un negozio di fronte alla sede di Wallmart e lo riempirono di giochi, console, tutte in prova gratuita. Per mesi. Oggi si potrebbe chiamare quasi stalking economico.
In due anni SEGA of America passò dai suoi originali 30 dipendenti a ben 300, trasferendo la sede in un edificio di tre piani a San Francisco.

Poi, io scelsi il Super Nintendo. Il Megadrive lo comprai in ultraextremis, l'ultimo anno di vita e il successivo in cui Saturn e PSX erano già scese in campo. E non ne avevo simpatia, importante dirlo.


Ma non c'è dubbio che le possibilità che SEGA creò quasi dal nulla nacquero dalla sede americana. Le decisioni che venivano dal Sol Levante facevano tremare i polsi già allora. Quel Mega CD che costava uno sproposito (ricordo distintamente le circa 600.000 lire che per fortuna non ebbi mai la possibilità di sborsare, posto che quando comprai io la console principale era già bello che defunto) altre periferiche come il 32X, console portatili folli e inutilizzabili per i consumi come il Nomad, addirittura i personal computer come il Teradrive: una follia di spese pazze su cui si è già detto anche troppo.
Una cosa, però, è stata discussa molto poco: il fatto che quella dirigenza di SEGA of America (attiva con tutti i suoi elementi migliori dal 1990 al 1993), probabilmente, era un asso nella manica che, non fosse stata alle dipendenze delle follie nipponiche, forse poteva dare alla compagnia un futuro ben diverso. 
Kalinske, che veniva dalla Mattel e dai successi di alcune linee di Barbie, diede una botta pazzesca al destino della compagnia quando arrivò nel 1990: il tutto senza sapere assolutamente nulla di videogiochi. Trovava un Al Nilsen che già si era dimostrato l'uomo marketing perfetto di SEGA, aggressivo come si doveva essere per provare a scalfire lo strapotere Nintendo.

Il salto, nel 1991, Service and Games l'aveva fatto: il supporto delle terze parti, le vendite, c'era tutto. Andava solo amministrato. Possibilmente da chi non avrebbe mai avuto il potere di farlo, gli yankee di quei tre-quattro anni. Il potere vero, purtroppo, stava in Giappone, in mano a chi con forsennata follia lanciava periferiche e nuove macchine in continuazione, senza rafforzare quell'unico, straordinario successo che rispondeva al nome di Megadrive. E litigando, un giorno sì e l'altro pure, con SOA. Ecco perchè non ho mai condiviso l'opinione sulle poche possibilità di SEGA: è vero, non ha mai avuto le riserve auree di Nintendo. E' altrettanto vero che Kalinske propose con forza l'accordo con Sony che, forse, pure avrebbe dato alla compagnia un futuro solido. Ma è pure indiscutibilmente vero che l'autonomia ha un valore, ideale ma anche concreto, che in quei fatidici tre anni aveva mostrato le potenzialità di espansione - semplicemente pazzesche -  di una società che passava da un fatturato di 100 milioni di dollari ad un altro di oltre 500. Cifre impossibili da ignorare per un futuro che, in modo più saggio, non chiedeva altro che essere costruito.





domenica 5 luglio 2015

Ad Atene il NO è sulla strada di casa


SI', NO, forse? Continuo ad andare oltre: indipendentemente dall'incompetenza o meno di Tsipras e dei suoi, dimostrata in modo abbastanza evidente da diverse sintesi apparse in rete sui contenuti di risposta alla proposta europea (praticamente inesistenti, laddove da Bruxelles, se non altro, sono venute fuori strategie e programmi ben precisi, indipendentemente dalla loro ingiustizia), nutro massimo rispetto per una dignità, quella del popolo greco, che invidio in modo inimmaginabile. Continuare a fare il solito discorso qualunquista sulla "colpa della nazione" a causa dei precedenti governanti, enfatizzare ancora la favoletta dei cittadini rei di tutto, anche specifiche politiche economiche di cui persone normalissime non possono essere nè responsabili nè compatercipi, è veramente triste.

Tutti questi risvegli improvvisi sono francamente bizzarri: non scopriamo adesso che la forza economica della Grecia sia modesta rispetto al resto dell'Europa, lo è sempre stata. Non lo scopriamo neanche per altri paesi dell'area meridionale come il Portogallo e, vi dirò, non lo avremmo scoperto neanche per la Spagna, se non ci fosse stato il boom economico che il paese iberico ha vissuto ai primi anni 2000. 

In Italia, nel frattempo, nascono le prime interpretazioni "ad arte" del voto ad Atene: "non è nazionalismo nè patriottismo" (curioso come le due parole ora abbiano valore simile, mentre in Italia si fa sempre presto a condannare entrambi inventandosi differenze di sana pianta) ma "solo esasperazione".
Nella sua imbarazzante ritirata (quella in cui dichiarava, dopo campagne elettorali ben diverse che "il NO non rappresenta un'uscita dall'Euro, ma solo un accordo più favorevole") Tsipras ha involontariamente messo il punto sul problema: qui la questione non è uscire dall'Euro o meno.
La questione è capire che l'Euro non è una situazione cristallizzata nè tantomeno una verità assoluta. La storia dice solo quanto sia vergognoso che un Paese con la forza economica, con il Pil e con un bacino di consumo come l'Italia non riesca a recitare un luogo di primo piano nello scacchiere continentale, anche in chiave europeista. Non c'è un solo motivo logico per cui debba essere così. Certo, il signor Renzi un mese fa è riuscito a fare la scoperta dell'acqua calda dicendo che non possiamo essere una superpotenza. In compenso ha proseguito sulla stessa sciagurata linea che il 90% dei suoi predecessori segue da una buona sessantina d'anni.