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A Walt Disney Silly Symphony!

mercoledì 8 luglio 2015

Quel lettore CD Nintendo? Macchè, quella SEGA che sprecò l'occasione d'oro

I rumor e i prototipi vintage mostrati negli ultimi giorni mi hanno portato un po' indietro nel tempo, precisamente all'anno 1991. Ma stranamente non voglio concentrarmi su Nintendo nè sui destini che avrebbe potuto concretizzare quell'alleanza con Sony mai realizzata, per quel lettore CD per Super NES che non vide mai la luce.
Io andavo di NES (senza super) e di Amiga allora, per gran parte dell'anno il Megadrive non avevo capito (giuro) nemmeno cosa fosse: se ne parlava in TV e mi aspettavo un giocattolo da robot. Insomma un rimbambito precoce. Per rendermi conto avrei dovuto aspettare la fine di quell'anno, se non ricordo male uno dei mesi autunnali, quando Casa Mia, un negozio di giocattoli molto famoso nel mio quartiere (tra l'altro ancora in vita) lo espose gloriosamente in vetrina. Fu in quel momento che capii, in modo del tutto ingenuo, che "per i giochi a cassette" non esisteva solo "il Nintendo" (lo chiamavo, come tanti, così).


La SEGA casalinga visse, nella mia classe, a scuola e nella mia comunità, una specie di successo a fuso orario posticipato: la scoprirono tutti a fine 1991, e non solo il Megadrive, anche il Master System che già esisteva da un po'. 
Ovviamente in sala ci si giocava già da anni: io stesso non voglio nemmeno contare quante 200 lire ho usato per  Wonder Boy in Monster Land, in quel bar di Roccaraso, ridente località montana abbruzzese, dove passavo una buona metà delle mie estati di bambino, dietro le urla di disperazione di mia madre: probabilmente il coin op per cui ho speso di più insieme a Street Fighter II (il che è sintomatico, visto che da metà anni '90 in poi avrò toccato sì e no un paio di picchiaduro).

Voi direte: ovvio che prima del 1991 nessuno parlasse delle console SEGA, già l'8 bit della futura casa di Sonic fu un mezzo flop e non superò le 15 milioni di unità in tutto il mondo, logico che non lo conoscesse nessuno. Eppure, da noi, ad un certo punto iniziò a fare gola a tutti, me compreso. In particolare dall'uscita del restyling divenne un oggetto del desiderio. Il sottoscritto lo invidiava tantissimo e ci giocava da un amico al primo Alex Kidd, a Danan: The Jungle Fighter, a Psichic World, per non parlare del cult Fantasy Zone.
Restò tutto un sogno: non vissi mai il Master System nè lo acquistai, lo recuperai solo in seguito, anni dopo, ma come puro retrogame. Compensai con un Game Gear che mi fece giocare a qualche titolo che adoravo letteralmente (Lucky Dime Caper, Castle of Illusion, lo stesso primo Sonic).  Poi uscì Game Power, la prima rivista che abbia mai letto in vita mia, e lì si capì che SEGA era un marchio in ascesa, soprattutto sul fronte delle console a 16 bit. Un mezzo miracolo di una compagnia che appena un paio d'anni prima non arrivava neanche al 6% di un mercato console completamente dominato da Nintendo. Poi alcune scelte coraggiose, tra cui aver lanciato lo stesso Megadrive/Genesis nel precoce 1988 con un hardware che N non sarebbe riuscita mai ad umiliare veramente, le diedero la storica occasione di giocarsela. 



Il duo Tom Kalinske - Al Nilsen (presidente e vice di SEGA of America) è stato, probabilmente, quello che ha portato davvero "la grande S" in una dimensione che non aveva mai sognato prima. Insieme a fattori a loro pre-esistenti, come i due anni di vantaggio nei 16 bit proprio sul SNES nel mercato più importante del mondo, quello americano, e al fatto che, pur con fatica, erano riusciti a schiodare diverse compagnie, tra cui Acclaim, dallo sviluppo esclusivo sul Nintendo Entertainment System.
Sarebbero riusciti spezzare il legame d'acciaio che legava Nintendo ai rivenditori e alla grande distribuzione: furono talmente cocciuti da convincere, dopo mesi di insistenza,  la popolare catena Wallmart a vendere il Genesis, dopo che la dirigenza aveva declinato l'offerta per ben due volte. Aggressività è puro eufemismo: acquistarono un negozio di fronte alla sede di Wallmart e lo riempirono di giochi, console, tutte in prova gratuita. Per mesi. Oggi si potrebbe chiamare quasi stalking economico.
In due anni SEGA of America passò dai suoi originali 30 dipendenti a ben 300, trasferendo la sede in un edificio di tre piani a San Francisco.

Poi, io scelsi il Super Nintendo. Il Megadrive lo comprai in ultraextremis, l'ultimo anno di vita e il successivo in cui Saturn e PSX erano già scese in campo. E non ne avevo simpatia, importante dirlo.


Ma non c'è dubbio che le possibilità che SEGA creò quasi dal nulla nacquero dalla sede americana. Le decisioni che venivano dal Sol Levante facevano tremare i polsi già allora. Quel Mega CD che costava uno sproposito (ricordo distintamente le circa 600.000 lire che per fortuna non ebbi mai la possibilità di sborsare, posto che quando comprai io la console principale era già bello che defunto) altre periferiche come il 32X, console portatili folli e inutilizzabili per i consumi come il Nomad, addirittura i personal computer come il Teradrive: una follia di spese pazze su cui si è già detto anche troppo.
Una cosa, però, è stata discussa molto poco: il fatto che quella dirigenza di SEGA of America (attiva con tutti i suoi elementi migliori dal 1990 al 1993), probabilmente, era un asso nella manica che, non fosse stata alle dipendenze delle follie nipponiche, forse poteva dare alla compagnia un futuro ben diverso. 
Kalinske, che veniva dalla Mattel e dai successi di alcune linee di Barbie, diede una botta pazzesca al destino della compagnia quando arrivò nel 1990: il tutto senza sapere assolutamente nulla di videogiochi. Trovava un Al Nilsen che già si era dimostrato l'uomo marketing perfetto di SEGA, aggressivo come si doveva essere per provare a scalfire lo strapotere Nintendo.

Il salto, nel 1991, Service and Games l'aveva fatto: il supporto delle terze parti, le vendite, c'era tutto. Andava solo amministrato. Possibilmente da chi non avrebbe mai avuto il potere di farlo, gli yankee di quei tre-quattro anni. Il potere vero, purtroppo, stava in Giappone, in mano a chi con forsennata follia lanciava periferiche e nuove macchine in continuazione, senza rafforzare quell'unico, straordinario successo che rispondeva al nome di Megadrive. E litigando, un giorno sì e l'altro pure, con SOA. Ecco perchè non ho mai condiviso l'opinione sulle poche possibilità di SEGA: è vero, non ha mai avuto le riserve auree di Nintendo. E' altrettanto vero che Kalinske propose con forza l'accordo con Sony che, forse, pure avrebbe dato alla compagnia un futuro solido. Ma è pure indiscutibilmente vero che l'autonomia ha un valore, ideale ma anche concreto, che in quei fatidici tre anni aveva mostrato le potenzialità di espansione - semplicemente pazzesche -  di una società che passava da un fatturato di 100 milioni di dollari ad un altro di oltre 500. Cifre impossibili da ignorare per un futuro che, in modo più saggio, non chiedeva altro che essere costruito.





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