Copertina

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A Walt Disney Silly Symphony!

domenica 30 novembre 2014

Vecchi sogni, un pipistrello sbiadito e un uomo di latta: tra le stelle come va?


Il declino di Nolan è ormai in atto da anni. Con Inception era già evidente: discreto film pieno di buchi in una sceneggiatura futilmente contorta, salvato da un grandissimo protagonista principale e da una tecnica che al regista britannico non è mai mancata.
Certo, precipitare con il disastro assoluto registrato dal terzo Batman, una storia che da sola rovina un'intera trilogia che - diciamolo - poteva essere leggendaria, è stato molto doloroso. Per non parlare della reinterpretazione di Superman, nell'assurda pretesa di dispensare realismo anche nella rappresentazione dell'eroe kryptoniano.

Interstellar è un film coraggioso, dobbiamo dirlo: non è pura fantascienza, ma un 90% di mondo reale inserito in un futuro immaginabile.
L'aspetto più interessante è il tentativo di raccontare lo sbarco definitivo dell'uomo nello spazio. Non attraverso una realtà remota totalmente estranea alla nostra vita, ma un futuro alternativo che (da auto, abbigliamento e mondo circostante) almeno esteticamente sembra contemporaneo, attuale. Un mondo in cui la NASA è ufficialmente morta per il pubblico, ma viva come una vera intelligence, come un'organizzazione segreta. Si immaginano pure circostanze verosimili e si immagina di poterle spiegare con l'inesplorato spazio-tempo. Gli elementi fantascienfitici non mancano.

Prima parte decisamente mediocre, poco profonda come dialoghi e mal sviluppata pure dagli attori, in cui si conferma l'inferiorità del Nolan sceneggiatore rispetto al regista. Il pregio è che svolge il suo compito: condurre alla seconda parte. Allo spazio. Alla fase più spettacolare ed empatica di Interstellar, che dimostra ancora una volta la capacità di Nolan di emozionare, in certe sequenze una vera e propria evocazione onirica.

Il girato "spaziale" in più di una sessione denuncia chiare ispirazioni kubrickiane: le sequenze che inquadrano la Endurance mostrano parecchie somiglianze con la Discovery One di 2001: Odissea nello Spazio, anche negli accompagnamenti musicali. Permane una certa superficialità nella spiegazione di alcuni dettagli e un'eccessiva velocità narrativa. La coerenza tiene botta, seppur a fatica, ma sarebbe impossibile spiegare questo dettaglio senza svelare parte della trama, quindi preferisco limitarmi al giudizio di valore secco.

Il pregio maggiore del film, oltre al soggetto citato prima estremamente interessante, sta nella capacità di comunicare, a mio avviso benissimo, il rapporto del tutto minimale tra l'uomo e il cosmo. Nel rappresentare a livello visivo l'incredibile piccolezza dell'individuo rispetto all'infinito. E' per questo che va visto. Ma anche riosservato con attenzione (cosa che mi riprometto di fare appena possibile): la profondità della trama rende impossibile cogliere tutte le sfumature ad una prima visione, cosa tra l'altro non nuova ad altri lavori del regista britannico.

Non c'è paragone con gli utlimi lavori scadenti di Nolan. Peccato per la tanta, troppa approssimazione nella seconda parte, in 10 minuti si passa da una fase ad un'altra che sembra appartenere ad ere geologiche diverse: spiegazioni appena accennate, seppur coerenti. Ingarbuglimenti didascalici spesso fini a loro stessi. Nel complesso riuscito a metà.
Chiudo con una considerazione: la fotografia dai toni scuri, filtrata, in voga da 14 anni ha ampiamente stufato. Nolan ne è un profeta, ma mentre a Batman credo che in pochi possano vederla poco affine, è impensabile vederla spalmata e utilizzata in tutto il panorama cinematografico contemporaneo, salvo pochissime eccezioni: commedie, drammatici, e diciamolo, pure il viaggio nel cosmo, cosa diamine c'entrano? Basta.

venerdì 21 novembre 2014

Come ammazzare una Leggenda? Chiedere a tifosi e appassionati di calcio italiani

Le lamentele di Antonio Conte dopo la gara con l'Albania risuonano dappertutto: "Sono solo - dice - il calcio italiano prende la direzione sbagliata ed è bene dirlo". 
Qualcuno ribatte quanto sia troppo facile parlare da CT perchè da tecnico di club, della nazionale, se n'è bello che infischiato pure lui. E ha ragione. Ma non toglie nulla alla sostanza di ciò che sostiene il commissario tecnico, se per cuore o interesse personale poco importa in quanto difficilmente contestabile sotto quasi ogni punto di vista. 

Senza fare troppi giri di parole, nonostante la totale indifferenza dei connazionali sull'argomento: l'Italia ha, storicamente, il miglior vivaio della storia dopo quello brasiliano.
E' il terzo Paese per numero di finali ai mondiali, il secondo per titoli vinti insieme alla Germania, detiene gran parte dei record difensivi della manifestazione (gli offensivi, guarda un po', sono tutti brasiliani con qualche tallonamento tedesco).
E' l'unica scuola calcistica ad aver detto la propria in tutte le epoche della ormai secolare storia del calcio, dalle origini agli anni Trenta, dai Sessanta ai Novanta, fino a qualche anno fa. Sì, è vero, possiamo escludere gli anni Cinquanta dove il livello dei calciatori italiani era oggettivamente basso, possiamo escludere i non brillanti esordi nei primi anni dopo la nascita della Footbal Association. Vogliamo escludere una ventina d'anni su un secolo e più? Facciamolo. Poi però guardiamo anche in casa d'altri.
Dell'Uruguay che ebbe - col senno di poi - una stagione fortunata d'un paio di decadi, del Brasile che esiste dagli anni Trenta (ma ha iniziato a vincere nei Cinquanta). La Germania è venuta fuori sempre nel dopoguerra, l'Argentina ha una finale nel 1930 e nient'altro fino al 1978, anno del primo titolo albiceleste.
La Francia? Notevolissima, probabilmente quella che ha prodotto miglior tecnica insieme a noi in Europa: ma ha avuto due periodi, gli 8 anni di Platini e i 10 di Zidane, contro i circa 80 nostri. Un po' come la Spagna, che esiste da 15 anni.  E, a proposito di Spagna, siamo anche gli unici - anche se non si dice - ad aver vinto tre titoli di fila oltre a loro (Mondiale '34, Olimpiadi '36 e Mondiali '38). E' stato il nostro ultimo ciclo.
E' vero, nel campionato europeo non abbiamo avuto la stessa sorte: però va anche detto che abbiamo fatto tre finali, abbiamo regalato una coppa alla Francia e abbiamo vinto due coppe internazionali, ossia gli europei che esistevano prima del torneo che conosciamo oggi, che ha una storia di quasi la metà più corta del mondiale (la prima edizione è del 1960).
Insomma, di storia ce n'è anche su base continentale. Siamo, senza mezzi termini, una Leggenda.

Oggi stiamo letteramente disintegrando questa Leggenda, tra l'altro in appena 18 anni, un vero record.
Il 50% del problema è di natura culturale e vi contribuiscono tutti, soprattutto i tifosi. Il restante è diviso tra scuole calcio poco attrezzate e vivai devastati.
Partendo dai dati più recenti, l'ossatura dell' Italia campione del mondo 2006 è roba nata e cresciuta nel pre-Bosman, quando di stranieri ce n'erano massimo tre in squadra: la corsa allo straniero è stata graduale, non immediata. Non era pensabile che nel 1997 tutti i club italiani potessero cassare gente ormai già lanciata e proveniente dai vivai (Cannavaro, Nesta, in realtà anche Buffon, Del Piero, Totti, Inzaghi, perfino Pirlo e Zambrotta anche se non ancora emersi erano già noti a livello giovanile: questo senza contare le promesse fallite, Baronio, Morfeo, Fresi, Galante e via dicendo): non era economicamente sostenibile e di sprechi ce n'erano già troppi.
Con gli extracomunitari limitati si fa poco o nulla. 

Oggi Tavecchio propone di utilizzare obbligatoriamente 4 giovani del vivaio cresciuti in Italia e altri 4 provenienti da fuori: poco o nulla, visto che la norma non prevede nessun obbligo di impiego per gli italiani. 
La verità è che con le leggi attuali non c'è molta trippa per i proverbiali gatti. Troppe le imposizioni di multiculturalismo e gli azzannamenti alle identità nazionali: perfettamente naturale che in un ambito come quello calcistico sopravviva chi sia minimamente orgoglioso di se stesso e che altri siano destinati a morire. 
L'unico sistema che può usare il calcio italiano per risollevarsi è...credere nel calcio italiano. Basilare, culturale, dopodichè ovviamente vengono anche strategie, investimenti e tante altre componenti, è ovvio come in tutti i problemi complessi. Diciamo che è un pre-requisito essenziale.
Non ricordo - sinceramente - una sola fase storica in cui ciò sia avvenuto, per lo meno da quando esisto e seguo il calcio. Il perchè (vista la storia incredibile che abbiamo in questo campo) è sempre stato un mistero, ma prima una legge dall'alto rendeva ininfluente qualcosa che invece è oggi rilevante.

Mi pare che il presidente federale stia, in ogni caso, facendo il massimo, compatibilmente con le regole attuali: non me l'aspettavo e per il momento applaudo.
Detto questo se a nessuno interessa neanche lontanamente un luogo mitologico quale il Museo del calcio di Coverciano mentre si sbava per i luoghi mistici ispanici, inglesi e tra un po' pure bulgari, c'è veramente poco da fare. E' ovvio che non sia l'unico motivo, ma è una base importante per affrontare qualsiasi cosa, tanto in ambiti secondari come il calcio che in questioni molto più serie.

La vedo dura.


Una delle tante formazioni storiche di una nazionale leggendaria


domenica 9 novembre 2014

Quella storica, strana origine politica della Lega

Qualcuno non molto famoso, ma decisamente dotto e acculturato, una volta mi disse che in Italia l'ideologia è sempre stata di origine settentrionale, mentre l'idea di Stato, invece, tipicamente meridionale.
Un punto sul quale è difficile controbattere, visto che la storia italiana, ben da prima dell'Unità, ha visto le più profonde ideologie nascere sempre al Nord: si può partire dalla Lega dei Comuni medievale, che mostrò, nei primi secoli di vita della cultura italiana, la prima forma di ideologia concretamente realizzata. Si può continuare con la resistenza antiprotestante che trovò forti origini sempre a Settentrione con il fenomeno giansenista, si può approfondire con lo stesso Risorgimento che (al di là di un giudizio secondo chi scrive estremamente negativo) rappresentò un punto di vista ideologico sull'idea di Italia, così come lo rappresentarono il fascismo e il comunismo post-bellico. Le ideologie, insomma, nascono a Nord. Per vari motivi: economici, sociali, idealistico-religiosi, patriottici.
L'uomo del Sud non ci crede molto, le ha sempre subite e in molti casi sposate ed appoggiate, ma di rado generate.  E' sempre stato un essere "scettico" più portato "allo studio" del cugino settentrionale, ha sempre avuto una grande attenzione per l'idea di Stato: non è solo per le difficoltà economiche che nel Mezzogiorno nascono (tendenzialmente e con le dovute eccezioni) i maggiori giuristi e magistrati della Nazione, ma per quella tradizione statalista di matrice monarchica che, per dimensioni, è stata più forte che nel resto del Paese, ulteriormente diviso in staterelli micronici. 
Ovviamente tutto questo non significa che nel Meridione non possano nascere ideologie, ma semplicemente che la tendenza culturale sia di altro genere, più valutativa.
Non sorprende, in questo senso, il fenomeno della Lega Nord. Un movimento nato 25 anni fa con impostazioni federaliste e poi incorso in varie modifiche ideologiche, passando per quella deriva secessionista del 1996 che, diciamo pure la verità, non ha mai avuto un vero seguito se non nello statuto del partito che al momento appare più teorico che pratico. 
Negli anni la Lega, per incredibile paradosso, ha votato e fatto approvare le leggi più nazionaliste (o meno anti-italiane, dipende dai punti di vista) della storia della Repubblica: la Bossi-Fini, il reato d'immigrazione clandestina, varie ed eventuali soprattutto su base locale. Ha addirittura promosso una campagna antimafiosa con un rigore forse da record per un partito democratico italiano (il che non vuol dire che possa essere incontaminato da fenomeni di corruzione, infiltrazione e collusione mafiosa, tutto sta nella tendenza media nettamente inferiore agli altri, è chiaro).
E dopo le dimissioni di Umberto Bossi da leader storico, questa strana tendenza ha fatto proseliti: il nuovo leader Salvini va addirittura nel Mezzogiorno a polemizzare contro gli sbarchi in Sicilia, va a prendersi pure gli insulti dei napoletani, lancia slogan dal titolo "il nemico comune è Bruxelles", su facebook scrive "amici siciliani" richiamando quasi ad una compattezza che l'Italia, dal 1943 in poi, non è riuscita mai ad esprimere, escluse sparutissime eccezioni (vicenda Pella, Sigonella, e poco altro).
Nessuno dice che la Lega diventerà un movimento nazionalista, sia chiaro. D'altro canto c'è da riconoscere che le uniche leggi spiccatamente patriottiche, seppur in modo del tutto involontario, nascono incredibilmente dalle pressioni del Carroccio. E da ricordare la premessa storica che costituisce la prima parte di questo articolo: il movimento non ha nulla di diverso, in questo, da quelli che lo hanno preceduto, non solo nel secolo e mezzo di unità ma anche in quelli precedenti. 
Certo, nella storia può succedere di tutto, anche che uno dei socialisti più ferventi diventi il fondatore di una nuova idea di Destra sociale: non è proibito pensare che un movimento secessionista come la Lega possa diventare paradossalmente nazionale nel lungo periodo. Qualche premessa pragmatica perchè ciò avvenga c'è: dalla difficoltà  di diventare un pensiero di massa proponendo quei valori ai soli settentrionali, alla forte caratterizzazione identitaria del movimento, all'origine ideologica che non la differenzia in nulla da altri pensieri di natura comunque nazionale, fascismo e comunismo inclusi.

giovedì 6 novembre 2014

Nintendo col Direct si conferma in modalità Forza 4

Riassumiamo. Toad è semplicemente favoloso: lo dice chi si era annoiato da morire a giocare i livelli tematici di Mario 3d World da cui nasce il gameplay del gioco con protagonista assoluto il funghetto, non mi piacevano affatto ed erano ispirati un decimo, non me l'aspettavo. Tutto sembra arricchito dovere, il trailer spinge tantissimo su un game design che nella versione originale era per forza di cose minimale e appena accennato. Si rischia un nuovo Four Swords: inconsistente nella sua prima apparizione da contenuto extra, epocale nel gioco dedicato uscito su Gamecube.
Non parliamo del nuovo Kirby, la meccanica del Capolavoro (per gli amici Canvas Curse) è favolosa anche se lo stile grafico meno accattivante rispetto al gioco DS di dieci anni fa. Ma tanto basta, non c'era da scommettere su un ritorno di quella formula (probabilmente la più bella che la serie abbia mai avuto) viste le magre vendite e, invece, ci troviamo di fronte ad una versione arricchita, sarà un delirio. 
Splatoon, boh, non so che dire. Mi sembra letteralmente incredibile, potenzialità mostruose e i sonari attaccati all'estetica non so come si possano lamentare visto il grosso miglioramento anche al motore grafico: se dovesse piacermi un titolo con questa impostazione Nintendo avrà fatto davvero un miracolo.
Xeno? Hanno cambiato tema, inutile negarlo. Non so se sarà come il fenomenale prequel, ma è impossibile non tenerlo neanche in considerazione.

Con cosa si chiude? Con roba non vista oggi ma che è già nella storia, dallo Yoshi gomitoloso e spettacolare a, soprattutto, lo Zelda Open World che attendo da dieci anni. Nintendo in grandissima forma, quando riprenderò il Wii U ci giocherò per due anni filati.  




mercoledì 5 novembre 2014

Di Ayrton, di una vecchia passione, di Alain e di una speranza futura

Ho appena finito di vedere questo film documentario di Asif Kapadia sul leggendario Ayrton Senna, pilota che, forse, ricordo meglio di molti altri venuti dopo, anche quelli che costellarono la rinascita della Rossa negli anni di Schumi.
Erano anni di "magiche sconfitte", in cui in famiglia, come in tante altre italiane, si tifava Ferrari con passione e tanta rabbia. 
Rabbia per le umiliazioni, per una perdita di competivitià che somigliava molto a quella odierna.
Penso che il fulcro di quelle esperienze sia stato scontro con Prost: lo ricordo con particolare enfasi perchè, allora come oggi, si iniziava a parlare, per il cavallino, di troppi anni lontano dal successo e l'ingaggio del francese fu vissuto da tutti come la speranza di ritornare a vincere.
E per poco non ci si riuscì, nonostante la incredibile forza della Mc Laren in quel 1990. Si visse, con anni di anticipo, quello che si sarebbe vissuto nell'anno dello scontro Schumacher-Villeneuve che vide prevalere il canadese all'ultima gara.
Senna per me era un nemico, lo ricordo come tale. Non l'ho mai avuto, però, in antipatia come tanti, troppi altri "nemici". Aveva un espressione che ricordo molto bene perchè mi trasmetteva una pace straordinaria, per la quale non riuscivo a provare una vera invidia ma tanta ammirazione. Non mi ha mai dato l'impressione di essere un montato, un superbo, uno "sborone", a differenza di chi (bisogna avere l'onestà di ammetterlo) ci riportò in trionfo dopo anni di delusioni. Si tratta di sensazioni e valgono per quel che sono, però ogni tanto mi chiedo se non abbiano un motivo di esistere se sono così differenziate.
Oggi non seguo più la Formula 1: forse un tempo lo facevo perchè interessato a vedere, almeno una volta nella vita, la Ferrari trionfare. Sono stato accontentato ben 5 volte, quindi ben sopra le mie modeste aspettative. 
Oggi dico che sarebbe bello, oltre a un film come questo, vedere una pellicola sulla rivalità con Prost. Giusto per poter ricordare uno dei duelli più belli mai visti nella mia vita di tifoso.