Copertina

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A Walt Disney Silly Symphony!

venerdì 16 ottobre 2015

Una settantennale educazione alla distruzione



Leggevo questo post di La via culturale al Socialismo, un blog abbastanza famoso per le ironie dirette alla cultura di sinistra italiana, alla sua arretratezza e ai pochi dogmi che ancora sopravvivono nella sua essenza politica.
L'articolo, piuttosto breve, polemizza contro lo Ius Soli, quindi contro il diritto di essere italiani per semplice nascita sul suolo nazionale senza che vi sia alcun legame culturale e sanguigno con i cittadini. Non si concentra sulle ragioni morfologiche e assolutamente folli che motivano l'ostilità all'assurdo iter legislativo iniziato dal governo Renzi appena due giorni fa. Poco male, perchè questo passaggio è da condividere con le unghie:

Con la battaglia contro lo ius soli si dovrebbe rimarcare per una volta che essere cittadini del mondo è un concetto aberrante, che volere un mondo uguale è un concetto aberrante, che il voler mescolare le culture distruggendole è un concetto aberrante. Lo ius soli, presente, non a caso, solo nelle Americhe è l'anti-tradizione, l'anti-regionalismo, l'anti-particolare; lo ius soli è il generale assoluto, è la rimozione di un'ulteriore barriera verso il capitalismo perfetto, quello senza Patrie e senza storie.

Il punto dolente è l'inizio che fa comprendere quanto la cultura distruttiva anti-nazionale abbia avuto tale spazio di manovra da penetrare nelle coscienze anche di chi, come me e pochi altri (quali sono gli autori di questo sito) provano a resistere a quelli che sono diventati dei veri dettami religiosi:



Non solo l'Italia, ma anche l'Europa è Strapaese. L'Europa è terra di mille campanili, l'Europa è un mosaico perfetto di bellezza. Non esiste il popolo europeo, e nemmeno il popolo italiano, esistono i popoli europei e i popoli italiani.

Ora, per quanto questa affermazione sia da intendersi come introduttiva, nella sua piccolezza dimostra quanto i grossi problemi negli anni si siano approfonditi, visto che non è vero che non esiste un popolo italiano. Questa debolezza iniziale dello scritto di cui sopra asseconda un processo culturale che, gradualmente, ci ha portato allo scempio della legge appena approvata in prima lettura.

Crederlo significa cedere alle suggestioni nate, inutile girarci troppo intorno, dall' 8 settembre 1943 in poi. Da quella frattura nazionale mai ricomposta, culminata con una sconfitta militare terribile che qualcuno ha addirittura cercato di trasformare in un successo. Quello spartiacque a partire dal quale si è discusso praticamente tutto, perfino Rinascimento e Umanesimo. Perfino la cultura della pasta è stata messa (ogni tanto) in dubbio, se si pensa alle frivole "gare" che nella cultura popolare (in particolar modo televisiva) vengono fatte per trovare anche nella gastronomia tradizioni locali anche quando ormai ampiamente sdoganate a livello nazionale.

Non parliamo nemmeno della lingua, attaccata da ogni fronte, rendendo specifico un caso italiano che non è un caso per niente: si parte dal famoso 2% di italofoni del 1860 del linguista Tullio De Mauro ad altri numerosi scempi culturali. Purtroppo promossi da professionisti di prim'ordine (che quindi hanno il difetto ancora più grande di essere presi sul serio) come De Mauro stesso che, pure essendo un grande professionista, non riesce ad arrivare al dato basilare che qualsiasi stato preunitario avesse come lingua ufficiale l'italiano e che l'unico motivo per cui questo non era diffuso era che mancavano le scuole. O che nelle stra-unite, da secoli, Inghilterra e Francia le masse non parlassero inglese e francese fino al XX secolo, e il motivo era sempre lo stesso: perchè non c'erano le scuole neanche da loro.
Le differenze che ci sono qui non sono inesistenti, altrove, tra un bretone e un provenzale, tra un sassone e bavarese. Quello che con insopportabile insistenza si descrive dell'Italia la descrivono alla stregua di una Nazione senza storia, dandole, spesso, addirittura meno valore che degli Stati Uniti. No, signori miei, quella di cui parlate aveva altre caratteristiche, si trovava al di là dell'Adriatico,  si chiamava Jugoslavia ed è morta da 20 anni a seguito di un sanguinoso conflitto interno. Noi siamo qualcos'altro.

Se qualcuno pensa davvero che Francia o in Germania (per citare uno degli stati nazionali più antichi e uno dei più recenti, insieme al nostro) siano piene di realtà locali fotocopia l'una con l'altra ha sbagliato proprio non solo la storia, ma il concetto del reale.

Esiste un popolo italiano (il che non esclude affatto che vi siano genti anche differenziate a comporlo) esistono dei popoli europei. E lo Ius Soli è uno scempio.



 

martedì 13 ottobre 2015

Il giorno del male e del bene. E se il bene è italiano non è mai al completo




Un piccolo pensiero sulla giornata politica di oggi, fatta di due cose contrapposte, la follia assoluta fuori dalla geopolitica e la logica di chi non ce la fa più a tirare avanti. In parole povere Ius Soli e riforme costituzionali, tanto lontane quanto inevitabili. Alfa ed Omega, come si suol dire spesso.

Facciamola semplice sul primo punto: dare la cittadinanza a tutti è una follia, un passo ulteriore verso l'abolizione delle regole. Sì, gli economisti filosovietici (o filocomprati, tanto l'effetto è lo stesso: è l'unica opinione che viene diffusa a livello europeo e soprattutto italiano) continuano ad essere braccio destro della propaganda pro-invasione, ed esaurite le precedenti carte ora si giocano quella della diminuzione demografica nei prossimi 50 anni (un dato scontato che qualsiasi demografo conosce da almeno 40 anni, ma loro ci hanno messo un po') che ci imporrebbe di farci invadere dalle etnie del resto del pianeta ma ehi, manco a parlarne di preservare le nostre, che avere idee anche solo parziali di politiche sulla natalità è fascista, non sia mai.
Nella loro prospettica visione diminuire una densità demografica che scoppia da decenni è inoltre una brutta cosa, e deduciamo - rigorosamente adesso che serve - che paesi come Svezia, Norvegia o Danimarca o Svizzera siano delle aree depresse, in quanto non esasperatamente popolate, anche se chiunque di noi (milionari esclusi) sognerebbe di avere anche la metà del loro reddito pro capite. A queste fandonie rivestite di tecnicismo (che ben si accoppiano a quelle intrise di moralismo secondo le quali bisogna accogliere all'infinito profughi che spesso muoiono per strada, invece di aiutare i paesi di origine a risollevarsi e a stabilizzarsi per, magari, non farne morire proprio più), al bisogno culturale della sinistra di divenire maggioranza storica del Paese (obiettivo che viene perseguito da almeno vent'anni con la strategia di favorire nuove cittadinanze a volontà e presentarsi come coloro che hanno regalato il diritto di voto ai nuovi italiani) viene incontro l'approvazione alla Camera dello Ius Soli, ossia il diritto di cittadinanza per semplice nascita sul suolo italiano, senza alcun legame di parentela con italiani e senza nemmeno bisogno di arrivare all'adozione. Solo con l'ultimo punto si spiega come una volpe quale Matteo Renzi possa aver promosso un pasticcio al di fuori della storia contemporanea di tutti i Paesi europei medio-grandi, la cui densità demografica è così elevata per cui, senza essere dei geni, non è difficile comprenderne la miopia assoluta. Certo, fino a che non ci sarà quel calo demografico che secondo i sedicenti economisti dovrebbe farci precipitare nello strapiombo della possibilità eventuale di essere di meno e con redditi pro capite elevati di cui non ci sogneremmo mai di dimenticare l'eventualità (escludendo sempre a prescindere l'idea di continuare ad esistere come etnie, ma quello, dicevamo prima, è troppo fascista). Nel frattempo, fino ad oggi, gli unici ad applicare lo Ius Soli sono stati i francesi, per di più alla luce di una storia di rapporti ex-coloniali ben nota, ma chissà, guai a dire che attuino una politica totalmente fuori dalla logica, magari imitarli sarà di buon esempio per tutti. Tutto questo mentre Stati Uniti e Australia stringono le proprie maglie, nonostante la promessa di Washington di accogliere un certo numero di rifugiati nord-africani nei prossimi 10 anni: le chiacchiere sono facili, chi corre forsennatamente per farsi invadere, però, è l'Europa, un continente che non può neanche lontanamente sognare il paradisiaco rapporto di abitante per chilometro quadrato che c'è negli USA e - manco a dirlo - in Australia. Vabbè.



L'altra faccia della medaglia sono le riforme costituzionali, approvate in parlamento con 179 sì, 16 voti contrari e 7 astenuti. Ci siamo? Per come la vedo io, ben poco. E' un inizio di semplificazione, estremamente contenuto, per il quale Renzi e il suo governo hanno dovuto sudare non sette, ma diverse decine di camice, trovandosi per di più di fronte allo spettro della ghigliottina referendaria che già tagliò la testa a chi li ha preceduti.
Si riducono i senatori e si inglobano nel ruolo i governatori locali. Si elimina il potere paritario dell'assemblea anziana, quindi il famigerato bicameralismo perfetto. Qualcosa - indubbiamente - è.
Ma i problemi della folle costituzione democratica italiana sono molti di più. La riforma del 2005 proponeva di abbatterne almeno una buona metà: si riducevano i parlamentari anche in quel caso, e pure in modo consistente, ma soprattutto si puntava alla responsabilità di governo e al mandato elettorale ben più diretto verso il presidente del consiglio. Soprattutto si riabilitava un concetto fondamentale: quello della possibilità, per il governo, di fare il proprio lavoro, di essere responsabile di fronte al Paese solo a mandato scaduto e non prima, quando in teoria dovrebbe essere impegnato a gestire e ad eseguire le leggi, non a trattare con le minoranze parlamentari e con i cortei in piazza. E' vero, non era un presidenzialismo completo, somigliava al famoso vice-presidenzialismo alla francese, con presidente della Repubblica e del Consiglio ancora entità distinte e, soprattutto, con il primo ancora eletto dal Parlamento e non dal popolo. Quella riforma, che avrebbe risolto molti (anche se non tutti) dei problemi di ingovernabilità che l'indifendibile Costituzione italiana ha generato (a differenza di praticamente tutte le sue colleghe occidentali, sempre democratiche ma non stupide, per utilizzare un'espressione facile) dal 1948 in avanti, è stata bocciata senza appello dal referendum del 2006, schiacciata da una propaganda distruttiva a favore, ancora una volta, di un immobilismo di cui gli italiani come popolo non tengono mai conto, a differenza delle bollete che, spalleggiati da media populisti, puntualmente chiedono sempre alla classe politica additandola come sola responsabile della situazione in cui ci troviamo. Comodo.
La riformina di Renzi, davvero minuscola rispetto a quella del 2005 ma che pure propone semplificazioni importanti (avere iter legistlativi più snelli è sicuramente un punto a favore quanto meno per la velocità del lavoro di presidente, ministri e parlamentari che ricordo, paghiamo sempre con i nostri soldi) dovrà affrontare lo stesso gigantesco ostacolo. Stavolta le opposizioni dottrinali sono di meno, nonostante l'assurdo parallelismo il fiorentino non è considerato come Berlusconi e, soprattutto, non viene da destra, almeno in via ufficiale. Tutti fattori che possono aiutare a superare l'ostacolo insormontabile del Referendum. Auguri, signor Matteo.