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A Walt Disney Silly Symphony!

lunedì 22 dicembre 2014

E il pensiero corre a Plombières...o alle proposte della Lega?

Negare l'evidenza tutti insieme, come dico sempre, è un modo efficace per costruire realtà inesistenti: così il progetto originale della Lega, le macroregioni, suscitò al tempo lo strappo delle vesti di indignati politicanti da due soldi, buoni a ricordarsi della Nazione solo quando è assolutamente necessario alle loro casse elettorali. Quel progetto era infatti quanto di più storico potesse esistere.
Oggi il PD propone qualcosa di simile, seppur in versione più moderata e non ancora ben chiarita dal punto di vista "federale": 12 regioni, tra cui l'eliminazione del Lazio ridotto a distretto allargato della capitale, accorpamenti di regioni minuscole come il Molise ad altre più grandi.
ilgiornale.it tuona:
Un maxi accorpamento che cambierebbe il volto del Belpaese senza tener conto delle tradizioni e della storia delle città che confluirebbero in un'altra Regione.
Una frase imprecisa, vera solo in parte (ad esempio storiche cittadine come Gaeta ritornerebbero alla loro "casa" di origine, il Triveneto, che accorperebbe Friuli, Veneto e Trentino, corrisponderebbe ad un accorpamento precedente alla Prima Guerra d'Indipendenza), dozzinale nell'espressione.

L'Italia è come la Germania: tutt'altro che il Paese così eterogeneo che pessimismo, vergogna e anche cultura antinazionale hanno dipinto negli ultimi 30 anni, dimenticandosi in un sol colpo Poetica siciliana, Dolce Stil Novo, Rinascimento, Umanesimo, la resistenza alla Riforma Protestante al di quà delle Alpi, oltre una miriade di tradizioni che, a dispetto di ovvie e nette (esistenti ovunque nel mondo) differenze popolane tra le varie aree, dipingono una cultura nazionale che dimostra, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che il Paese al quale gli italiani stessi credono di appartenere si era già sciolto all'inizio degli anni Novanta al termine di una guerra sanguinosa e si chiamava Jugoslavia. Sarà la vicinanza al mare Adriatico a confondere? Mistero. 
In ogni caso, come dico sempre, essere parte di una Nazione non vuol dire amarla, averne rispetto o esserne attaccati: e in questo concordo pienamente con gli antinazionali, con l'accorgimento dovuto di sottolineare che questa mancanza totale di orgoglio è propria anche di diversi secoli preunitari, e lo dimostrano le storie di tutti gli stati che frastagliavano la penisola a Nord come nello stesso Sud. 

Ma torniamo al titolo e a quel 1858 che, secondo i piani di Cavour e l'imperatore francese Napoleone III, doveva dipingere un'Italia divisa in tre macroregioni: un disegno che, in realtà, era condiviso anche da buona parte degli intellettuali italiani che vedevano nel principio federativo la strada maestra per l'Unità. Tra i massimi esponenti, Cesare Balbo, ma c'era anche chi proponeva l'idea di una federazione capeggiata dal Papa (cosa che in qualche maniera fu proposta da Pio IX nel 1848 con il progetto, poi naufragato, di Lega Doganale).
Poi, è il caso di dirlo, qualcosa andò storto, e invece di imitare un modello che sarebbe venuto solo dopo (quello tedesco) ci si è ritrovati nel caos di dover inseguire costantemente un ordine amministrativo assolutamente necessario.


Non so se il progetto di Roberto Morassut e Raffaele Ranucci, i deputati del PD che hanno parlato alla Conferenza delle Regioni dell'idea, possa avere delle basi federaliste. Ciò che è certo è che, sia in termini storici che logistico-economici, è sicuramente una versione sostenibile di quello che è sempre stato (con l'eccezione del periodo fascista) un centralissimo, pesantissimo e costosissimo gigante. Chi vede nel federalismo un ritorno indietro, semplicemente non rispetta la Storia d'Italia. E, soprattutto, non capisce quanto proprio il nostro tradizionale disordine abbia prodotto la via della semplificazione quando, come i "fratelli" tedeschi, la nostra strada non poteva che essere di tipo autonomistico.

Se il PD propone qualcosa del genere è benvenuto. A ben vedere lo è pure se le 12 regioni dovessero essere del tutto simili amministrativamente alle odierne: sarebbe comunque un netto passo avanti. Poi certo, parlare è facile: approvare, specie nel nostro irriformabile Paese dell'irriformabile Costituzione, è un altro paio di maniche. Il dato positivo è che, a destra come a sinistra, si sta diffondendo una cultura che mette in dubbio tanto il centralismo estremo e i prodotti della prima Repubblica quanto la stessa Costituzione. Cerchiamo di vederci del buono.


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