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A Walt Disney Silly Symphony!

mercoledì 3 dicembre 2014

Quelle eccezioni di valore sociale e collettivo

Le visioni più catastrofiche che si abbattono sull'Italia - ad opera degli italiani per primi - sono inerenti la sua storia spesso politicamente misera, la sua totale mancanza di tradizione in campo internazionale, la sua sostanziale inefficacia come Nazione militare. Discorsi abbastanza difficili da contestare, visto che, dati alla mano, l'Italia ha mostrato, per gran parte della sua esistenza, sia pre che post-unitaria, tendenze piuttosto negative al di fuori dei campi culturali, artistici, e soprattutto letterari.
L'errore di un'impostazione del genere, però, è piuttosto evidente: innanzitutto non glorifica abbastanza i punti di forza della storia del Paese, quel pezzo di storia artistica che vale tutto l'orgoglio di sentirsi italiani, in un luogo che, da solo, possiede il 50% delle opere d'arte mondiali. In secondo luogo, negli ambiti prima citati, non valorizza un elemento fondamentale per la crescita di qualsiasi comunità e società: le eccezioni.

Una considerazione non da poco: nonostante una tendenza plurisecolare di sottomissioni, prima e dopo l'unità, sarebbe il caso di diffondere e propagandare le suddette, di cui perfino l'Italia è stata testimone, in termini politici ma incredibilmente, e per un breve periodo, perfino in ambito militare.

Parlando del primo motivo di autoflagellazione sintetizzato dalla frase volgare che ogni buon italiano impara dalla culla, ossia "noi non contiamo un cazzo", bisognerebbe rafforzare, enfatizzare e studiare di più i periodi che l'hanno smentita, perchè, pur minoritari, sono esistiti eccome.  
Dal 1910 al 1943 l'Italia è stata effettivamente una potenza politica, che apriva inchieste internazionali ed otteneva, in certi casi, anche risarcimenti dovuti. Di esempi se ne possono fare, di sicuro c'è da citare la famosa crisi di Corfù. 
L'inutile Italia infatti allora era un po' meno inutile e, uscita vincitrice dal primo conflitto mondiale, aveva perfino il potere, datogli dalla comunità internazionale, di stabilire alcuni confini, come erano, nella fattispecie, quelli da fissare tra Grecia e Albania. Capitò che la delegazione italiana incaricata, guidata dal generale Enrico Tellini, venisse assassinata durante i sopralluoghi da un team di estremisti greci. Mussolini chiese e ottenne nel 1923, dopo un'occupazione forzata dell'isola di Corfù, la ragione e il risarcimento di 50 milioni richiesto alla Grecia, nonostante l'opposizione della Gran Bretagna. 
La stessa un po' meno inutile Italia decideva, praticamente da sola, il rinvio di un anno del sanguinoso secondo conflitto mondiale grazie alla Conferenza di Monaco del 1938: un elemento, questo, unanimente definito perfino dagli storici, come dimostrazione di grande forza politica da parte del nostro Paese. Ci sarebbero altri esempi, dal trattato di non ingerenza con la stessa Gran Bretagna che aveva permesso la nostra unità politica, al famoso Anschluss, quel l'annessione dell'Austria alla Germania per la quale si chiedeva addirittura parere vincolante all'Italia (anche se in quel caso ci fu un po' di sordità, se così si può dire: ma qualcuno ha mai messo in discussione nel 1990 la potenza americana anche se Saddam Hussein si permise di invadere il Kuwait contravvenendo alle raccomandazioni di Washington? Non credo. Sono cose che capitano a tutti). Fermiamoci e passiamo oltre.

La seconda autoflagellazione riguarda l'incapacità storica per il Paese di affrontare i conflitti armati. Ebbene, perfino noi un conflitto, uno, l'abbiamo vinto sul serio: la prima guerra mondiale. Certo, la nostra tradizione militare è alquanto deprimente, a fronte di almeno 5 conflitti superati in modo ridicolo, contro avversari inesistenti e grazie agli interventi stranieri (tutte e tre le guerre d'indipendenza e le due in Libia e in Etiopia). 
Ma il primo conflitto mondiale fu un'eccezione - numeri e dati alla mano - anche se non viene detto da nessuno e si segue la cultura autoflaggelatoria molto accresciutasi, soprattutto dai tempi del capolavoro La Grande Guerra di Mario Monicelli.  Una valutazione che non ha senso di esistere, visto che la vittoria contro gli austroungarici non ebbe nulla a che fare con le fortunose campagne prima citate, e non è necessario neanche svolgere chissà quali ricerche per confermarlo, bastano i dati - trovabili ovunque - sul profilo quantitativo dei due eserciti per evidenziare non solo l'inferiorità numerica complessiva dell'esercito italiano, ma anche l'inconsistenza dell'aiuto straniero in termini di uomini (3 divisioni britanniche e 2 francesi contro le oltre 50 italiane).
Storiograficamente questo dato è completamente ignorato dagli studiosi, che enfatizzano - in piena ragione, sia chiaro - la scadente storia militare italiana. Però almeno i professori nostrani potrebbero sottolineare come militarmente  Paesi come la Francia abbiano fatto molto peggio nel XX secolo, vincendo due guerre SOLO grazie agli alleati e a circostanze fortuite (come l'esaurimento delle risorse tedesche nella prima guerra mondiale, che portò Berlino alla paradossale resa pur avendo vinto praticamente tutte le battaglie) e venendo cacciata a pedate dall'Indocina.
La vittoria del primo conflitto nostro viene fatta passare erroneamente come una delle guerre vinte "all'italiana" quando non è così.

Potremmo aggiungere anche il boom economico del dopoguerra: l'Italia è diventata la quinta potenza economica del mondo (sebbene in caduta libera come stato sovrano e nazionale) in meno di quarant'anni.

Le eccezioni vanno sempre rivalutate, comunicate, studiate. E' la strada migliore per produrre nuove eccezioni che, insieme alle precedenti, formano una cosa che si chiama regola. Abbattersi per l'andamento tendenziale di certi fenomeni non è nè costruttivo nè utile, e produce negli stranieri atteggiamenti ben giustificati di "sciacallaggio politico" se mi si può passare l'espressione.

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