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A Walt Disney Silly Symphony!

lunedì 23 febbraio 2015

Di Alberto, Antonio, Ugo, Aroldo, di una famiglia italiana e altre sciocchezze



Il 24 febbraio di dodici anni fa moriva Alberto Sordi. Il grande attore italiano sopportò un lungo periodo di difficoltà prima di spegnersi per sempre: bronchite e polmonite lo abbatterono nel suo inverno decisivo. La sua Villa Museo alle Terme di Caracalla cessò di essere il tempio della interpretazione, del garbo signorile appartenuto al grande artista. L'ultimo suo grande squillo è questo saluto, stanco e affannato, verso il pubblico del Teatro Ambra Jovinelli di Roma, che aveva organizzato nel dicembre 2002 una serata in suo onore. Meno di tre mesi dopo avrebbe spirato per sempre. Non avevo mai visto questo video prima di qualche mese fa, ma ricordo che, all'epoca, per la prima volta versai qualche lacrima per un personaggio pubblico. Alberto Sordi per me non era semplicemente un grande attore. Era un simbolo.
Ha rappresentato tutti i i miei ricordi d'infanzia: tra i tanti, quando la sera ci si riuniva (in modo molto disordinato, nonostante i desideri di mio padre) attorno al tavolo per cenare. Mi fa venire in mente le mie giornate adolescenziali, fatte di doposcuola e allenamenti di calcio, l'arrivo a casa verso le 18:00 e, infine, la rinnovata cena davanti al film spesso dato in TV, dove spadroneggiava l'immenso Totò ma anche il grande Alberto. Mi ricorda una famiglia che, con tutti i suoi limiti umani, era ancora viva e vegeta, e che anni dopo avrei ricordato anche grazie a lui. Rafforza in me un'italianità che ho sempre sentito fin da bambino, e che crescendo ho dovuto confrontare, con amarezza, con coloro che mi circondavano.



                                                                                  
Sordi non appariva frequentemente in pubblico ormai da qualche anno: nel dicembre della stagione precedente era stato da Bruno Vespa in una puntata sempre su di lui a Porta a Porta, nel luglio 2002 ospite di Pippo Baudo ad Italiani nel Mondo, entrambi sulla Rai.
Nel video lo struggente Albertone saluta il suo pubblico, quegli italiani a cui doveva tutto il suo successo, il suo ingresso nei libri di storia dell'arte. Il suo sorriso smagliante non c'era più. Quel ghigno furbo e intuitivo era completamente sparito. Da gran signore provava indomito a resistere. Tentava di ironizzare, ansimando, sulla imitazione di Max Tortora a quel tempo in voga in televisione. 
Si incamminava verso la fine un artista infinito, un raffinato osservatore che avevamo ritrovato solo nel sottovalutatissimo Carlo Verdone: si spegneva un modo nazionale di concepire la nostra sfolgorante commedia, nella comicità che si ritrovava negli occhi dei grandi Totò, Peppino De Filippo, Vittorio De Sica, del dimenticato Enzo Turco, ma anche nell'irruenza di Ugo Tognazzi, nella classe infinita di Raimondo Vianello, Aldo Fabrizi o dello straordinario Aroldo Tieri

Con questi signori io sono cresciuto. Vederli recitare mi riavvicinava al concetto di pace. Una pace tutta italiana, rimembrante le belle serate quando, in famiglia, si guardavano anche "i film in bianco e nero" insieme ai miei genitori ma anche ai miei fratelli. A loro devo il mio sconfinato amore per la cultura e l'arte italiana, la mia passione infinita per la nostra lingua e la tristezza malinconica con cui, tutti i giorni, sono costretto a subire l'indifferenza della gente. Gli italiani, che popolo sbiadito: così tanta storia e così poca consapevolezza e rispetto verso di essa, così poca accettazione. 

Totò, Tognazzi, Tieri, già, proprio loro. Totò è un ricordo che porterò sempre nel cuore, talmente immenso che è difficile non citarlo in certi frangenti. Quello sguardo languido, comico e tragico allo stesso tempo maschera infinita dell'italianità e un simbolo della nostra Nazione.
Alberto non sarebbe mai arrivato ai suoi livelli d'interpretazione. Ma il numero di capolavori in cui ha recitato, il contributo straordinario che ha dato alla nostra cultura nazionale, compongono un nome e un cognome che difficilmente potrò smettere mai di associare a questi valori, tramandatami da mio padre e da mia madre più di qualsiasi altro. Insieme a loro avevo visto il primo film con Alberto, che forse non a caso sarà il mio suo preferito di sempre: Il Conte Max. Con loro avrei passato dei momenti autenticamente felici, osservando i virtuosismi de Il Vigile, o le inquietanti peripezie del Dottor Tersilli, Il Medico della Mutua. Per non parlare di quella splendida commedia in coppia con Aldo Fabrizi, Mi permette babbo!, con la quale si descriveva la figura dell'eterno disoccupato parassita dei suoceri.
In quelle gag, in quelle battute sensazionali, è racchiuso uno dei motivi per cui l'Italia sarà sempre casa mia, indipendentemente da quanto lo sia per i miei tristissimi connazionali che potranno distruggere tutto, ma non la storia e l'identità dei pochi di noi che ancora le guardano col groppo in gola e con grande commozione.

Ciao Alberto.
Anche grazie a te ricordo ancora la mia famiglia, le belle serate passate davanti alla TV e le risate a squarciagola di mio padre che riascoltava per la centesima volta la stessa battuta.
Anche grazie a te e ai tuoi colleghi ho sviluppato il mio amore per la nostra dimenticata cultura, per il nostro sfortunato e bistrattato Paese.
Anche grazie a voi ho compreso davvero che, tra le tante incertezze che costellano la nostra difficile esistenza, conservo almeno la sicurezza che io sicuramente morirò italiano.
Forse un po' triste, solo e malinconico in questo sentimento, quello sì. 

Ma pur sempre italiano.



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