Tra gioco, cultura e realtà corrisponde a dei contenuti eterogenei, dicevamo. E' una delle rappresentazioni possibili dell'approfondimento e del sapere moderno, viste dagli occhi di chi, come il sottoscritto, ancora non si ritiene un dotto ma un "semplice" affamato di conoscenza, di cultura e di arte. L'animazione è stato uno dei miei campi di interesse fin da bambino, con la crescita è divenuta una passione artistica e di studio, al punto tale da farmi quasi scrivere una tesi di laurea dedicata all' Età dell'oro (poi abbandonata a causa della prepotente crescita dei miei interessi in campo storico).
Dell' Età dell'oro parleremo in un'altra occasione. Per ora basti capire che la maturità mi ha portato alla convinzione di dover diffondere i giusti meriti della disciplina, mai veramente riconosciuti dalla critica mondiale (e lo dimostra l'impossibilità per qualsiasi lavoro animato di vincere l'Oscar per il miglior film, pur andandoci vicino in un paio di occasioni: cito il premio americano perchè è quello più famoso, solo per evidenziare la questione, non voglio soffermarmi sul giudizio allo stesso, da parte mia ben lungi dall'essere positivo).
Fanno eccezione le pellicole giapponesi, che però non si sono mai davvero dedicate all'animazione fine a se stessa e alla musica che da sempre l'accompagna (se escludiamo qualche autore notevole), ma hanno ben pensato, per usare una frase metaforica ma secondo me chiarificatrice, di dare una trama alla Gioconda. L'animazione come Arte è argomento settoriale, perchè - a torto - non le viene ancora dato lo stesso peso (per citare un'arte diversa al solo scopo di far comprendere) di un dipinto di un Da Vinci o un Caravaggio. Immaginiamo possa accadere in futuro, quando noi saremo polvere, fatto sta che, ad oggi, ancora non è avvenuto.
Fanno eccezione le pellicole giapponesi, che però non si sono mai davvero dedicate all'animazione fine a se stessa e alla musica che da sempre l'accompagna (se escludiamo qualche autore notevole), ma hanno ben pensato, per usare una frase metaforica ma secondo me chiarificatrice, di dare una trama alla Gioconda. L'animazione come Arte è argomento settoriale, perchè - a torto - non le viene ancora dato lo stesso peso (per citare un'arte diversa al solo scopo di far comprendere) di un dipinto di un Da Vinci o un Caravaggio. Immaginiamo possa accadere in futuro, quando noi saremo polvere, fatto sta che, ad oggi, ancora non è avvenuto.
Mi propongo di utilizzare queste righe anche per tracciare
una breve presentazione storica, rifuggendo quindi dall’ignoranza più becera di chi liquida erroenamente come “infantile”,
quella che è stata la vera forma d’arte del secolo scorso, la vera
pittura dei tempi moderni, capace di raggiungere attimi di estasi visiva
senza precedenti. Lo faccio riproponendo una mia vecchia ricerca datata qualche anno, ma che ben si sposa con l'obiettivo "archivistico" di Tra gioco, cultura e realtà.
Walt esibisce i suoi sette gioielli |
Quando si parla di animazione, viene spontaneo pensare al nome di
Walter Elias Disney, questo folle factotum, disegnatore, autore,
produttore e animatore che con le sue opere ha sconvolto il mondo,
stupendolo e qualche volta anche irritandolo. Molti profani lo ritengono
addirittura l’inventore della disciplina, e sebbene questa affermazione
sia completamente fuori della realtà (il concept ha delle radici
risalenti addirittura all’antica Cina), presenta qualche elemento
credibile: Disney è stato senza dubbio colui che ha lanciato
l’animazione, che gli ha conferito per la prima volta visibilità, che ne
ha elevato il rango portandolo ai livelli del cinema tradizionale: ma
più di ogni altra cosa, a lui si deve l’inscindibile correlazione
consolidatasi, soprattutto in occidente, tra il disegno animato e
l’elemento musicale.
Per anni, la Walt Disney Pictures è stata identificata con il suo
creatore, e dopo la sua morte nessun altro autore ha raggiunto la
medesima popolarità mediatica. Storicamente però, Disney un erede
autentico lo ha avuto, non certo geniale come il maestro, né minimamente
intraprendente allo stesso modo, ma che ha segnato la vita della
compagnia e della sua produzione artistica negli anni ’60 e ‘70.
Wolfgang Reitherman |
Parliamo di Wolfgang Reitherman, animatore di spicco della compagnia, giovanissimo, sin dai tempi della produzione di Biancaneve (1937). Chiamato dai colleghi affettuosamente Woolie, Reitherman ha diretto tutti i film Disney dell’epoca, gli ultimi due prima della morte di Walt (La carica dei 101, La spada nella roccia) per poi distinguersi in opere quali Il Libro della Giungla, Gli Aristogatti, Robin Hood. La sua fama in seno alla compagnia si accrebbe in conseguenza dell’appartenenza al gruppo dei cosiddetti Nine Old Men,
a cui appartenevano anche artisti quali Frank Thomas e Ollie Johnston,
che lavorarono con il regista tedesco fino alla fine degli anni ’70.
Così chiamava il suo gruppo di “fedeli” lo stesso Walt Disney,
accostandoli metaforicamente a Franklin D. Roosevelt e ai nove giudici
della Corte Suprema americana, forse per il valore indiscutibile degli
artisti e per l’apporto decisivo che diedero nella realizzazione delle
sue idee.
Gli anni di Reitherman, comunque, furono insoliti per una compagnia
come la Disney. Chiunque erroneamente pensa al gigante americano come
una casa produttrice che non badava mai a spese quando si trattava di
produrre un lungometraggio, che si allontanava dalle politiche al
risparmio proprie dei giapponesi. In realtà, non è stato sempre così.
Era senz’altro indubbio che una produzione Disney (e occidentale in
generale) restasse, come budget e impegno “umano” quantificabile, sempre
su un altro pianeta rispetto alla nascente concorrenza orientale, ma
negli anni che raccontiamo anche a Burbank tirarono il freno a mano su
questo fronte.
La compagnia veniva da alcuni
insuccessi commerciali piuttosto pesanti, dovuti in parte alle scelte
artistiche estremamente coraggiose di Walt, e in parte alla sorte
avversa: sicuramente, il filone dei concerti filmati (Fantasia, Musica Maestro)
fu per la compagnia fu un vero salasso, ma non aiutò nemmeno
l’insuccesso di pellicole teoricamente blockbuster quali La Bella
Addormentata, all’epoca passate in sordina a causa dello stile
particolarmente originale.
Sono gli anni della Xerox, inventata da uno degli ultimi
collaboratori di Walt, Ub Iwerks: non siamo tecnici allo spasmo e non
entreremo nello specifico, ma in pratica essa permetteva di fotocopiare
rapidamente sulle cell (le plastiche atte a “impastare il disegno” per
poi colorarlo) fotogrammi già utilizzati in passato. Ecco perché, tra
una Carica dei 101 e una Spada nella Roccia, finendo con una Bianca,
lo stile estetico era sorprendentemente rassomigliante, fatto di quelle
immagini spigolose, quelle matite accentuate, e talvolta, vere e
proprie scene riciclate con dei personaggi differenti (penso soprattutto
alla festa jazz degli Aristogatti e a quella nella foresta di Robin
Hood).
Tutto in full animation, nulla che ricordasse solo lontanamente le stasi prolungate degli Anime, per carità. Fino a Le avventure di Bianca e Bernie (1977), il filone stilistico fu pressochè continuo, e Reitherman entra pertanto nella storia per essere stato l’unico regista dopo Walt ad aver seguito un percorso artistico ben definito ed estremamente personale. Dopo il suo pensionamento, nel 1981, la Disney prese altre strade, alcune fallimentari ma sperimentali oltremisura (Taron e la Pentola Magica su tutti, ad oggi l’unico classico Disney ad aver esplorato il Fantasy) per poi tornare ad investire seriamente e dar vita a quel filone ormai mitologico partorito negli anni ’90.
Tutto in full animation, nulla che ricordasse solo lontanamente le stasi prolungate degli Anime, per carità. Fino a Le avventure di Bianca e Bernie (1977), il filone stilistico fu pressochè continuo, e Reitherman entra pertanto nella storia per essere stato l’unico regista dopo Walt ad aver seguito un percorso artistico ben definito ed estremamente personale. Dopo il suo pensionamento, nel 1981, la Disney prese altre strade, alcune fallimentari ma sperimentali oltremisura (Taron e la Pentola Magica su tutti, ad oggi l’unico classico Disney ad aver esplorato il Fantasy) per poi tornare ad investire seriamente e dar vita a quel filone ormai mitologico partorito negli anni ’90.
Il valore indiscutibile di quelle pellicole dimostrò ancora una volta
che la tecnica nell’animazione, pur rivestendo un ruolo primario,
poteva non essere accentuata oltremisura, purchè tenesse fede al
principio cardine della disciplina: animare, senza sosta, senza
pensieri, dritti per la propria strada, offrendo prima di tutto uno
spettacolo visivo che oggi anche autori giapponesi come il mai troppo
lodato Miyazaki hanno dimostrato al mondo di poter finalmente curare
degnamente.
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