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A Walt Disney Silly Symphony!

venerdì 24 ottobre 2014

Ecco perchè le speranze dei riformisti di destra saranno sempre a sinistra

Almeno fino ad un cambiamento storico-culturale di impatto notevole, è chiaro.
Il dibattito è sempre lo stesso: Renzi è di "Sinistra" o di "Destra"? E' un traditore? Rinnega i "valori storici"? E' un approfittatore o un sincero idealista? Tutta forma e niente sostanza? Varie ed eventuali.
Sembra un approfondimento delle critiche al vecchio Massimo D'Alema quando "doveva dire qualcosa di sinistra". 
Sgombro il campo da subito e dico che Renzi ha capito meglio di chiunque altro un fatto evidente: che l'unica riforma possibile del "sistema Paese Italia" passa attraverso un cambiamento culturale della sinistra. Come mai? Com'è possibile che una forza da sempre minoritaria (seppur fortissima e riguardante circa il 30% della popolazione italiana) possa essere custode del destino di un Paese?

Per rispondere è necessario fare un po' di storia. Anzitutto premettendo che, dalle origini, la Sinistra italiana ha sviluppato tendenze più estreme rispetto alle altre sinistre occidentali, quelle al di fuori del blocco sovietico per intenderci. 
Escludendo i democratici americani che dal nostro punto di vista potrebbero non essere considerati neanche Sinistra (anche se tutto è relativo e gli schieramenti hanno cambiato definizione 4 volte negli ultimi due secoli), l'unico esempio in Europa abbastanza simile è il Partito Comunista Francese, non solo per la forza elettorale assolutamente paragonabile, ma anche per storia e "decorso storico", fatto di totale appoggio alla politica sovietica nei primi tre decenni post-bellici, per poi allontanarsi e appoggiare la "svolta" (vera o presunta che fosse non possiamo saperlo) dell'Eurocomunismo che riceveva ancora finanziamenti sovietici. Le altre sinistre, in qualche modo, hanno attinto al comunismo ortodosso almeno quanto al laburismo di stampo tipicamente britannico o alla socialdemocrazia scandinava, ossia culture sicuramente opposte alla destra finanziaria (e parzialmente affini alla destra sociale di stampo fascista) ma ben lontane dai concetti dell'ideologia originaria.

La "Sinistra" va dunque distinta dall' "ex-Comunismo" che comunismo non solo non è, ma ne è l'espressione più lontana e l'aperta contraddizione da almeno 20 anni. Ciònonostante, qualche eredità esiste, più che altro nell'approccio e nel modo in cui è stato sfruttato dal capitale occidentale per "prendersi" forze un tempo ad esso ostili. Questi approcci e metodi sono attualizzati in vari modi, tutti venuti fuori dopo il 1989: la tendenza a sostituire l'ideale statalista assoluto con una altrettanto assoluta fiscalità, la sostituzione degli ideali internazionalisti proletari con quelli europeisti e globalizzatori senza eccezioni, la propensione a sposare le teorie economiche bancarie mondiali e la corsa alla privatizzazione forsennata.

Il Comunismo italiano venne sconfitto nella guerra civile dal Fascismo che si impose dal 1922 in poi, prendendosi la rivincita 20 anni dopo, non avendo però mezzi e possibilità per imporsi in un Paese che, di fatto, era già finito nella sfera occidentale.
Il resto si può sintetizzare con un sistema capitalistico mondiale che, nonostante numerosi difetti, si dimostrava adattabile alla realtà ben più del blocco sovietico, costretto spesso a manovre di "terrore" e autoritarismo interni, e soprattutto all'investimento "culturale-strutturale" per provare a guadagnare consenso nei Paesi oltrecortina. Chiaramente, i governi autoritari esistono dalle origini del mondo e non sono certamente queste caratteristiche a costituire motivo di critica del socialismo reale.

Torando all' "investimento": nel nostro Paese, dove ha vissuto il Partito Comunista più forte dell'Occidente, non poteva che essere massiccio, ben più profondo di quello, esclusivamente finanziario, operato dagli Stati Uniti verso i partiti anticomunisti (DC, PRI, MSI, e successivamente PSI).

Si creavano, dunque, miriadi circoli culturali, si formavano uomini di partito, si puntatava ad entrare nelle istituzioni (magistratura e Corte Costituzionale, forti di aver preso parte alle assemblee che generarono la nostra carta), a dare sostegno ai sindacati che poi sarebbero diventati di maggiore importanza, ma soprattutto si ottenne da subito, grazie all'appoggio di editori importanti come Mondadori e soprattutto di Feltrinelli, una forte diffusione bibliografica e scolastica.
Poi, certo, arriva il Sessantotto e la sinistra inizia la sua corruzione interna. Va però ricordato che appoggiare la rivoluzione sessuale, la fine delle nazioni e la nascente globalizzazione sono state azioni a tutto vantaggio della ulteriore popolarità della parte politica di per sé, indipendentemente da quanto fosse antisistemica o meno. Negli ultimi 50 anni l'etica, la giustizia e la moralità hanno assunto valori non più coincidenti con le vecchie idee cattoliche ma identificate in modo pressochè totale con la cultura proveniente dalla "Nuova Sinistra", per dirla alla Pasolini. Un'etica che per certi versi è diventata mondiale, per altri ha prosperato anche nel paese sede del Vaticano.

Cosa se ne ricava in termini attuali? Che la Sinistra, pur non essendo, come si scriveva in sede introduttiva, una maggioranza storica di questo Paese, è consolidata a tutti gli effetti come minoranza "forte", custode del sentire comune di morale, etica e anche di qualcosa di strutturale ormai parecchio radicato ed ereditato a piene mani dal defunto PCI.

Non è un caso che le principali riforme tentate negli ultimi trent'anni siano fallite in gran parte per l'opposizione delle forze di sinistra , partendo dalla prima bicamerale per arrivare alla bocciatura della riforma costituzionale del 2005, con la quale in un solo colpo gli italiani votarono contro riduzione dei parlamentari, federalismo, riforma del senato e costi minori per la politica. L'unica grande eccezione,  la bicamerale D'Alema del 1997, naufragata a causa di Berlusconi.

Non è nemmeno un caso che le uniche riforme "riuscite" siano state promosse proprio dalla "sinistra", ossia l'abbandono dell'energia nucleare nel 1988 (e la conferma di quella decisione pochi anni fa) e la ancora più sciagurata riforma "federalista" del 2001 della quale lo stesso Matteo Renzi sta oggi pagando lo scotto nella debàcle quotidiana con le regioni.

Non credo che l'attuale Presidente del Consiglio sia ignaro di queste dinamiche, e secondo me influisce eccome nella sua scelta la volontà di mantenere l'azione della Leopolda e di restare nel campo della Sinistra italiana. Chissà, magari non gli sarebbe convenuto svoltare a destra, ed è possibile che a muoverlo siano soprattutto considerazioni pragmatiche anzichè idealistiche, non leggiamo nel pensiero.

Con certezza si recepisce solo che il "vantaggio etico-morale" è evidente, nonostante dall'interno si muovano le solite voci critiche che, diciamolo francamente, sarebbero ben maggiori se Matteo Renzi si trovasse nell'opposto schieramento politico (forse anche dal punto di vista "legalitario", diciamo anche questo).
La "minoranza forte" è quella che va riformata per riformare l'Italia, da Destra non esistono speranze. Troppi i vantaggi storici accumulati da uno schieramento sull'altro negli ultimi 70 anni.

E Matteo Renzi lo sa.

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