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giovedì 22 dicembre 2016

Un Presepe per dire, nonostante tutto: "Buon Natale, Italia"


Breve favola sul presepe.

La più antica visione pittorica dello stesso risale addirittura all'Impero romano, grosso modo al III secolo d.C. quando iniziò ad essere rappresentata la nativitità. 
Poi, tanti centenari dopo, è San Francesco d'Assisi a rappresentare solidamente, nel rietino e nell'Italia centrale del XIII secolo, una mangiatoia con degli animali in una grotta, nonché la pastorizia di Betlemme (mancavano Gesù, Giuseppe e Maria).

Nel Quattrocento, il presepe si diffondeva verso Nord, nell'Emilia. Nel secolo successivo il Regno di Napoli avrebbe accolto la tradizione e l'avrebbe diffusa nel Sud. 
L'ultimo grosso sviluppo è del Settecento, quando si diffondono quasi contemporaneamente le tradizioni napoletane, bolognesi e genovesi. 

Dedicata a tutti quelli che "l'Italia non esiste" o "esiste dal 1860". 

Il presepe, così come tanti altri fenomeni culturali, ha creato la Nazione secoli prima che ci fosse lo Stato. Con una particolare concentrazione di diffusione proprio nel periodo in cui nella pittura Caravaggio faceva scuola anche a Napoli, lasciando la strada ad eredi meridionali come i Salvator Rosa e i Luca Giordano, che avrebbero dipinto anche a Roma, Firenze e Milano.

Il presepe forse è la più genuina di queste formazioni culturali spontanee della nostra storia. 

Perché non è la classica arte italiana di quella élite unitaria che andrebbe comunque rispettata e glorificata ogni giorno per quanto ha prodotto nei secoli successivi al 476 d.C. È un'arte che, prima di arrivare nelle case di tutti, veniva realizzata da tutti, proprio da quel popolo diviso per circa 1500 anni che oggi rischia di estinguersi, come altri in questo Occidente disastrato. Lo sta facendo anche perché sta smarrendo il significato di queste tradizioni, di cui non si cura o peggio non si interessa.

Auguri, Italia.

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