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A Walt Disney Silly Symphony!

lunedì 28 dicembre 2015

Sfogo di passione e amore





Oggi mi son svegliato più riflessivo del solito, desideroso di parlare di meridionalismo, di meridionalità, del loro complicato rapporto con l’italianità. Lo sfogo parte da considerazioni oggettive.
Da questo Sud che nella storia italiana, pre e post unitaria, ha generato menti brillanti sin dai tempi di Torquato Tasso, giungendo poi a Luigi Pirandello, Giovanni Verga e Benedetto Croce, ma che collettivamente ha faticato, affannato sempre. 

Ieri loro, poi la grande arte teatrale dei De Filippo e dei Totò, oggi in ambiti non solo letterari, anche registi cinematografici, musicali, culinari, insomma di tutto di più: mondi diversi quali possono essere quelli di un Giuseppe Tornatore, un Pino Daniele o di un Antonino Cannavacciuolo.  La parola d'ordine è personalità. E' singolo. E' privato. Il concetto di "insieme" è completamente sconosciuto. 

Nel Nord qualcosa sotto questo profilo si è sempre visto, sin dai tempi dei Comuni, non casualmente organizzazioni collettive che in pieno Medioevo sviluppavano l'unico vero senso civico italiano successivo al 950 d.C. ossia il periodo in cui, completate le fusioni post-invasioni barbariche, si ritiene, a ragion veduta, che sia nato il popolo italiano, che si accingeva a inaugurare la sua straordinaria storia culturale con i Placiti Cassinesi del 963. 

Rappresentazione della Battaglia di Legnano del 1176 (Amos Cassioli, 1860)
Comuni che già rappresentavano il paradosso dell'italianità, capace di sviluppare fenomeni enormi ed elevatissimi, ma di andare de facto contro la formazione di un'unità geopoliticamente inevitabile dopo il crollo dell'Impero Romano: con quella Pace di Costanza del 1183, la Lega Lombarda annullava il primo tentativo vero unitario della penisola, sebbene sotto l'egida di Federico Barbarossa e di quel Sacro Romano Impero che, comunque, non avrebbe impedito ad altre giovani nazioni di affrancarsi e costituirsi appena qualche secolo dopo (come avvenuto in Francia intorno al 1350). Quel civismo è un patrimonio italiano, in ogni caso. Manca completamente ad un Sud strozzato dal colonialismo spagnolo e da un sistema feudale che avrebbe faticato a morire anche nel XIX secolo. Nel Nord, anche se non sempre profondo, nascono le grandi ideologie italiane. L'Emilia e la Toscana sono le culle di molti idealismi, "risorgimentali", socialisti ma anche tipicamente italiani, come il fascismo. Non si ci salva certo dal dramma del senso collettivo inesistente, un problema atavico della cultura italiana, ma ciò non toglie che che ci sia una scala, secondo me abbastanza definita, tra settentrionali e meridionali sul tema. 
Sì, noi meridionali. Parlo in prima persona plurale non casualmente: non mi piace dare le colpe sempre agli altri, anche se personalmente ho sempre sentito la questione fin dalla più profonda infanzia.

La seconda parte di questo sfogo è del tutto personale. Non ho mai capito il divisionismo, soprattutto di territori e sottoculture che di proprio non hanno espresso nulla prima del 1860 che non fosse, appunto, la grande cultura italiana, linguistica come artistica e letteraria: quella di cui sopra, per intenderci. Che non hanno espresso nulla di politico rilevante prima del 1860, ad eccezione della mai troppo lodata Serenissima, i cui eredi per ironia della sorte potrebbero essere gli unici a poter sbattere un minimo i piedini e a rivendicare di aver prodotto qualcosa. E' altrettanto ironico il fatto che siano gli italiani che più di altri ancora sentono il significato di certe feste (come il vituperato 4 Novembre) nonostante la messa al bando delle stesse da parte delle istituzioni: il motivo, forse, è che dentro di loro in molti si sentono come la tradizione più florida della politica che l'italianità abbia mai prodotto a livello internazionale.
Ho sempre odiato i dialetti e le ridicole campagne che ci costruiscono attorno, mai sopportato le pagliacciate che miei conterranei, per di più cresciuti in quartieri bene di Napoli dove in famiglia non facevano che parlare (ovviamente) italiano e studiavano tanto il meridionale Tasso quanto il toscanissimo Dante. 
Odiavo quando si atteggiavano a dialettofoni non avendo nulla in comune con quella parlata e soprattutto con quei modi. 
Odiavo soprattutto quanto queste cose fossero motivo di inclusione sociale nei circoli e nei gruppi giovanili, portavoce passivi e squallidi di un localismo tendenzioso che anche altrove in Italia ha fatto proseliti, aiutato dalla tendenza culturale promossa dalle organizzazioni farlocche come l'Unesco o le stesse istituzioni europee che (probabilmente) festeggiano e stappano una bottiglia di champagne in più ogni qualvolta si indebolisce una nazione e si creano queste micro-identità ridicole, strumento ideale per espandere il loro fastidioso controllo.

Odio il pessimismo italico che (attuato anche da professionisti seri come Tullio De Mauro, più pericolosi perché giustamente presi sul serio) particolareggia tutto in chiave esclusivamente italiana (mi riferisco al discorso sulla mancanza di omogeneità linguistica prima della seconda metà del XX secolo che si ripete ossessivamente senza fare alcun confronto con le altre realtà nazionali, europee e mondiali). 
Mi infastidisce quel tipico atteggiamento da complessati che tende a fare paragoni con i migliori perché fondamentalmente depresso. Quella voglia di annullare automaticamente ogni fase storica solo perché c'è stato qualcuno che ha contato di più.

Chiudo con i primi esempi comparativi che mi vengono in mente: in una Ungheria o Romania a caso, nazioni che hanno contato ben meno di noi nel mondo contemporaneo, non si pensa a nulla di tutto ciò. Si pensa semplicemente alla propria identità, al presente, e se si deve pensare al passato si ricorda quello che di buono si è fatto, senza troppe elucubrazioni mentali. 
Qualcosa che noi dovremmo fare sempre per l'Italia, in questo macello di odi l'unica che ami davvero: quel Paese non sarà stata la prima potenza mondiale ma qualcosa di importante  ha fatto comunque, specialmente tra il 1900 e il 1940. 
Quel qualcosa va ricordato e anche lodato, quando necessario.

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