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A Walt Disney Silly Symphony!

venerdì 21 novembre 2014

Come ammazzare una Leggenda? Chiedere a tifosi e appassionati di calcio italiani

Le lamentele di Antonio Conte dopo la gara con l'Albania risuonano dappertutto: "Sono solo - dice - il calcio italiano prende la direzione sbagliata ed è bene dirlo". 
Qualcuno ribatte quanto sia troppo facile parlare da CT perchè da tecnico di club, della nazionale, se n'è bello che infischiato pure lui. E ha ragione. Ma non toglie nulla alla sostanza di ciò che sostiene il commissario tecnico, se per cuore o interesse personale poco importa in quanto difficilmente contestabile sotto quasi ogni punto di vista. 

Senza fare troppi giri di parole, nonostante la totale indifferenza dei connazionali sull'argomento: l'Italia ha, storicamente, il miglior vivaio della storia dopo quello brasiliano.
E' il terzo Paese per numero di finali ai mondiali, il secondo per titoli vinti insieme alla Germania, detiene gran parte dei record difensivi della manifestazione (gli offensivi, guarda un po', sono tutti brasiliani con qualche tallonamento tedesco).
E' l'unica scuola calcistica ad aver detto la propria in tutte le epoche della ormai secolare storia del calcio, dalle origini agli anni Trenta, dai Sessanta ai Novanta, fino a qualche anno fa. Sì, è vero, possiamo escludere gli anni Cinquanta dove il livello dei calciatori italiani era oggettivamente basso, possiamo escludere i non brillanti esordi nei primi anni dopo la nascita della Footbal Association. Vogliamo escludere una ventina d'anni su un secolo e più? Facciamolo. Poi però guardiamo anche in casa d'altri.
Dell'Uruguay che ebbe - col senno di poi - una stagione fortunata d'un paio di decadi, del Brasile che esiste dagli anni Trenta (ma ha iniziato a vincere nei Cinquanta). La Germania è venuta fuori sempre nel dopoguerra, l'Argentina ha una finale nel 1930 e nient'altro fino al 1978, anno del primo titolo albiceleste.
La Francia? Notevolissima, probabilmente quella che ha prodotto miglior tecnica insieme a noi in Europa: ma ha avuto due periodi, gli 8 anni di Platini e i 10 di Zidane, contro i circa 80 nostri. Un po' come la Spagna, che esiste da 15 anni.  E, a proposito di Spagna, siamo anche gli unici - anche se non si dice - ad aver vinto tre titoli di fila oltre a loro (Mondiale '34, Olimpiadi '36 e Mondiali '38). E' stato il nostro ultimo ciclo.
E' vero, nel campionato europeo non abbiamo avuto la stessa sorte: però va anche detto che abbiamo fatto tre finali, abbiamo regalato una coppa alla Francia e abbiamo vinto due coppe internazionali, ossia gli europei che esistevano prima del torneo che conosciamo oggi, che ha una storia di quasi la metà più corta del mondiale (la prima edizione è del 1960).
Insomma, di storia ce n'è anche su base continentale. Siamo, senza mezzi termini, una Leggenda.

Oggi stiamo letteramente disintegrando questa Leggenda, tra l'altro in appena 18 anni, un vero record.
Il 50% del problema è di natura culturale e vi contribuiscono tutti, soprattutto i tifosi. Il restante è diviso tra scuole calcio poco attrezzate e vivai devastati.
Partendo dai dati più recenti, l'ossatura dell' Italia campione del mondo 2006 è roba nata e cresciuta nel pre-Bosman, quando di stranieri ce n'erano massimo tre in squadra: la corsa allo straniero è stata graduale, non immediata. Non era pensabile che nel 1997 tutti i club italiani potessero cassare gente ormai già lanciata e proveniente dai vivai (Cannavaro, Nesta, in realtà anche Buffon, Del Piero, Totti, Inzaghi, perfino Pirlo e Zambrotta anche se non ancora emersi erano già noti a livello giovanile: questo senza contare le promesse fallite, Baronio, Morfeo, Fresi, Galante e via dicendo): non era economicamente sostenibile e di sprechi ce n'erano già troppi.
Con gli extracomunitari limitati si fa poco o nulla. 

Oggi Tavecchio propone di utilizzare obbligatoriamente 4 giovani del vivaio cresciuti in Italia e altri 4 provenienti da fuori: poco o nulla, visto che la norma non prevede nessun obbligo di impiego per gli italiani. 
La verità è che con le leggi attuali non c'è molta trippa per i proverbiali gatti. Troppe le imposizioni di multiculturalismo e gli azzannamenti alle identità nazionali: perfettamente naturale che in un ambito come quello calcistico sopravviva chi sia minimamente orgoglioso di se stesso e che altri siano destinati a morire. 
L'unico sistema che può usare il calcio italiano per risollevarsi è...credere nel calcio italiano. Basilare, culturale, dopodichè ovviamente vengono anche strategie, investimenti e tante altre componenti, è ovvio come in tutti i problemi complessi. Diciamo che è un pre-requisito essenziale.
Non ricordo - sinceramente - una sola fase storica in cui ciò sia avvenuto, per lo meno da quando esisto e seguo il calcio. Il perchè (vista la storia incredibile che abbiamo in questo campo) è sempre stato un mistero, ma prima una legge dall'alto rendeva ininfluente qualcosa che invece è oggi rilevante.

Mi pare che il presidente federale stia, in ogni caso, facendo il massimo, compatibilmente con le regole attuali: non me l'aspettavo e per il momento applaudo.
Detto questo se a nessuno interessa neanche lontanamente un luogo mitologico quale il Museo del calcio di Coverciano mentre si sbava per i luoghi mistici ispanici, inglesi e tra un po' pure bulgari, c'è veramente poco da fare. E' ovvio che non sia l'unico motivo, ma è una base importante per affrontare qualsiasi cosa, tanto in ambiti secondari come il calcio che in questioni molto più serie.

La vedo dura.


Una delle tante formazioni storiche di una nazionale leggendaria


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