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A Walt Disney Silly Symphony!

martedì 1 febbraio 2022

Ogni pretesto è buono per continuare a Creare (It Takes Two)



Non me l'aspettavo. Non così. Non in modo così dirompente, deflagrante. Avevo visto un video di It Takes Two, di gameplay, su youtube. Quello sì. E mi era piaciuto. Avevo capito che volevo giocarlo, volevo, come si suol dire, "vedere le carte".  Del signor Josef Fares avevo giocato soltanto Brothers: A Tale of Two Sons, ormai quasi dieci anni or sono. Bel titolo, creativo, profondo il giusto. Me lo gustai con piacere. Ma se devo essere sincero, non mi è rimasto impresso come avrebbe dovuto. 

Sensazioni personali, squarci, certamente. La qualità era sopraffina già allora. Non so quanto c'entri il signor Fares nello sviluppo di It Takes Two, ma è certo che Hazelight Studios sia una sua creatura. 

Tagliamo corto, comunque, dicendo cose che il resto del mondo sa già (visti anche i premi ricevuti), ma che io - da persona che non segue più il mondo dei videogiochi come un tempo e che ormai ne scrive veramente poco - mi diletto semplicemente a mettere su carta per il piacere di farlo, non avendo paura di essere volgare: It Takes Two è un cazzo di fottuto capolavoro che va oltre ogni sorpresa immaginabile.

Se nelle dinamiche fisiche del puro platform il gioco non raggiunge chissà quali parametri particolari (essendo in fondo piuttosto standard), nel level design siamo di fronte a qualcosa di veramente maestoso, illuminante e creativo come capita di rado.

E la cosa colpisce ancora di più allo stomaco considerato che la prima metà del gioco è sì bella, sì esprimente una qualità già eccellente, ma viene completamente rivoltata da una seconda dove il livello della creazione, delle idee e anche delle - dovute - citazioni diviene così alto, così vario, da non crederci. It Takes Two sarà composto da nove livelli (onestamente non ho contato, ma mi pare così e sto scrivendo di getto) che sono identificabili tranquillamente come nove giochi diversi.

Perché sì, ogni livello riscrive le regole, le dinamiche e perfino le meccaniche con la facilità con la quale si beve una bella tazza di tè la sera, prima di andare a nanna, col freddo invernale di fuori della propria dimora. Anzi, non contento, il gioco degli Hazelight decide, in alcuni degli ultimi quadri di riscriverle addirittura ogni sezione, le regole. Si gioca con la fisica, con la gravità, con il magnetismo, con il tempo, con quello che vi pare. In una sezione ci si troverà addirittura a giocare a un clone di Diablo. Così, perché ci piace. Ogni pretesto è buono per continuare a creare. Che sberla.

Limiti? Difficile a dirsi. Forse una colonna sonora onestamente anonima (a parte il blues/jazz dell'ultimo quadro, splendido), e forse una eccessiva generosità nei checkpoint (potevano essere un po' più cattivi). Ma sono veramente minuzie. Chi ha fatto questo gioco, probabilmente, era "fatto" anche lui. 


venerdì 5 novembre 2021

Voglio tornare a Tallon



Metroid è sempre Metroid. E c'è qualcosa di inscindibilmente legato tra la nostalgia ad elementi classici e peculiari, quanto alla richiesta di una svolta. Entrambe convivono in un concentrato di sensazioni solo apparentemente contrastanti.

Metroid Dread, come qualcuno ha fatto giustamente notare, rappresenta l'ennesimo omaggio a una serie fuori scala. 

C'è tutto, con la solita variante. Ma non è di Dread che voglio parlare quest'oggi. Dread è uno spunto, perché lo sto affrontando con la solita gioia e le solite domande, ma è il futuro di un nome, di un simbolo, di uno stile di fare videogioco forse inedito per Nintendo stessa, ad interessarmi.

Tutti, all'epoca, che Metroid Prime fosse Super Metroid trasposto in 3d. Avevano senz'altro ragione, ma per me c'è sempre stato qualcosa di più.

E quel valore aggiunto era la prospettiva, la possibilità che la terza dimensione aggiunse alla saga di Samus.

Mi era sempre piaciuto Metroid. Ma non posso negarlo, il passaggio in 3d mi stese per terra. Prima avevo apprezzato tantissimo Super Metroid, finito una sola volta all'epoca (una stranezza per i tempi, almeno per quel che mi riguarda) e rivalutato solo tantissimo tempo dopo, rigiocandolo sulla Virtual Console. Del primo su NES non ricordavo - né ricordo - quasi nulla. 

La verità è che il Metroid in tre dimensioni non traspose semplicemente la serie in una nuova prospettiva: certo, tecnicamente magari è stato così.

Ma il succo sta nel fatto che quel 3d era ciò che Metroid avrebbe dovuto essere dall'inizio. Non so se nella testa di Miyamoto, ma certamente per quelli che sono i suoi punti di forza: la solitudine, l'esplorazione, il mondo ostile e - ovviamente - le musiche di Yamamoto. 

La cosa più pazzesca del destro diretto che Metroid Prime mi indirizzò alla mandibola nel 2003, però, fu il fatto che io, prima di allora, non ero mai andato matto per i giochi in prima persona. In qualche maniera, ancora non m'avevano conquistato, nonostante avessi adorato il primo Doom e avessi vissuto con un certo interesse anche il primo Quake.

Niente a che vedere, ovviamente, sparatutto versus avventure, perché Prime era, appunto, un'avventura. Impiegai mesi a decidermi di acquistarlo perché la prima persona proprio non mi andava giù. 

Ma ci fu un tocco, una scintilla che cambiò per sempre la percezione di quella visuale. Non casualmente, poco dopo venni stregato anche da Half Life 2, che avventura lo era decisamente di meno. 

Ora, la questione è: cosa aspettarsi da Metroid Prime 4. Quando discuto con altri appassionati dell'argomento, leggo sovente la speranza che ci sia "un altro Breath of the Wild", similmente a quanto avvenuto per Zelda, ovvero una serie che accusava il peso della ripetitività in modo non dissimile da quanto avvenuto per Metroid.

Pur condividendo la necessità di una svolta, Samus mi ha però sempre affaticato meno del Link classico. La sensazione è che potrebbero ripropormi un'altra dozzina di Metroid classici senza che accusi troppo il colpo. 

Però è insindacabile che un cambiamento ci voglia, perché fame di meraviglia ne ho anche io. La mia personale idea è che non debba essere orientata a un vero open world, come avvenuto per Zelda. Ma a qualcosa di diverso, su cui però ammetto di non avere un'idea precisa.

Sognavo Breath of the Wild da prima che uscisse Ocarina of Time. Addirittura mi aspettavo - irrealisticamente - che Ocarina of Time, con la tecnologia del 1998, potesse essere Breath of the Wild

Su Metroid i sogni sono indefiniti e incerti. Non so cosa voglio e neanche cosa aspettarmi. Però è vero, provo il desiderio di stupirmi di nuovo.

Ed è questo il motivo per cui esiste una sola certezza: che voglio tornare a Tallon

sabato 13 giugno 2020

Quando Howard Lincoln disse: "Night Trap non uscirà mai su un sistema Nintendo!"



Questa è davvero una chicca. Non è uno scoop visto che è vecchio di due anni di cui personalmente non ero a conoscenza, ma mi pare impossibile non parlarne. Robe che ricordano la rubrica "le ultime parole famose" del glorioso Mai dire gol della Gialappa's, e del resto l'epoca è quella, in un concentrato di satira vintage esplosivo.

Nel filmato youtube sottostante, c'è la presentazione di un gioco uscito nei primi anni Novanta per Sega Mega CD, tale "Night Trap". 

Trattasi di una truffa, o meglio, di una delle tante truffe targare Mega CD, com'è noto una periferica che leggeva dischi ottici per Megadrive e - di conseguenza - una quantità di dati decisamente superiore a quella delle cartucce


Ma non c'è solo quello. L'autore del filmato, spinto da un istinto ironico-storico, ha pensato bene di porre all'inizio del video la dichiarazione di ferro dell'allora presidente di Nintendo of America Howard Lincoln, che con fare deciso e orgoglioso sentenziava in una conferenza stampa: "Night Trap non uscirà mai su una console Nintendo!".

Questo per ragioni di marketing e identitarie della stessa Nintendo, da sempre - e giustamente aggiungerei - rivendicante il suo interesse a produrre anzitutto giochi e non storie interattive o filmati, nonostante la fame dell'epoca per la novità dei full motion video che sarebbe durata nei 15 anni successivi e per certi versi perdura ancora oggi.

Soprattutto, Nintendo rivendicava allora parecchio il suo ruolo di "difensore dai contenuti sensibili" nei videogiochi, rigettando spesso le scene violente e perfino il sangue di parecchi giochi per Super Nes che vennero addirittura censurati.


Ovviamente, c'era anche l'esigenza di fare necessità virtù, su tutto la scelta - vincente in termini commerciali - della casa di Kyoto di non sviluppare alcuna periferica CD per il Super Nes, considerandola costosa e sostanzialmente inutile (cosa che i fatti dimostrarono ampiamente: il Mega CD propose qualche perla, ma nella sostanza ludica e pura fattibile anche su un semplice Megadrive). 



Comunque, dopo quasi 30 anni, ecco che Night Trap è arrivato (per la precisione da 2 anni) su una piattaforma Nintendo, per l'appunto lo Switch.



I Gialappi ci starebbero a pennello. Anche se ovviamente si fa per giocare, il "mai" di Lincoln poco ha a che vedere con la previsione della nascita di sterminati negozi online pieni - anche - di retrogame dei bei tempi andati. 

Io in ogni caso lo consiglio a chiunque adori i giochi brutti ma soprattutto trash, categoria di appassionati alla quale mi includo con estremo orgoglio. 





lunedì 17 settembre 2018

I cieli di Hong Kong



Sinceramente non so quanto altri giocatori abbiano avuto la stessa sensazione, ma personalmente di Shenmue la cosa che mi colpisce è il cielo. Cielo ombroso, stellato, sereno, nuvoloso, piovoso, così come è il mutevole universo concepito da Suzuki ormai quasi due decenni fa. 

Non c'è ambiente del gioco in cui non abbia volto, da giovane sognante quale ero, lo sguardo a un corpo celeste, a una nuvola o semplicemente un azzurro puro. 

Non da solo, chiaramente, ma combinato con i tetti dei palazzi delle varie ambientazioni presenti, in una strada commerciale, in un vicoletto, vicino a un parco, o per le strade affollate e piene di insegne di Hong Kong.



Perché sebbene il capolavoro di Suzuki cominci nella piccola Yokosuka giapponese, che l'anima della serie sia la Cina è cosa nota a tutti.

La parte intima, profonda di Shenmue è lì, dopo quella traversata in mare durata una ventina di giorni, in quel porto rozzo, prima di Aberdeen, dove più si vedono i segni del colonialismo britannico, in quel 1987 ancora vivo e vegeto e che - si dice - qualcuno laggiù ogni tanto rimpiange addirittura. 

La sensazione di immensità, di esplorazione praticamente infinita, le routine perfette di decine, anzi di centinaia di persone incontrate per le strade è ciò che rimane ancora vivo di un'opera mastodontica, perfino a  quasi 20 anni dalla sua uscita originale su Dreamcast.



E confesso, non lo credevo minimante. Perché con l'uscita della collezione su PS4 e Xbox One, i commenti su quanto Shenmue fosse invecchiato si sono sprecati.

Io sarò anche un vecchio innamorato, per carità, ma se questo discorso può valere per il primo capitolo, per il mondo di Hong Kong beh, è totalmente campato in aria. C'è tutto, c'è troppo. Si esplora, si combatte (in modo perfetto, pulito, un gioco nel gioco, a differenza dell'onesto abbozzo giocato a Yokosuka), si lavora per vivere, si compete per soldi a braccio di ferro, si entra grosso modo in qualsiasi bar, ristorante o negozio presente. Il FREE che voleva Suzuki, forse non pieno come molti ricordano in modo dopato, ma lì, puro, conseguente, sempre in definizione. 



Sembra quasi, anzi è assolutamente un viaggio turistico nella remota Cina, un viaggio in cui si gioca, lo si fa tanto e bene.

Certo, tutto questo oggi non sarebbe rivoluzionario. Ma diamine, con una grafica attualizzata potrebbe essere un gioco uscito l'altro ieri e sfido chiunque a contestarlo. 



E se posso dire un'ulteriore bestemmia, pure la veste originale è favolosa ancora oggi. Saranno le scelte artistiche azzeccate, ma laddove non ci sono primi piani l'impatto è ancora bellissimo da vedere, con i suoi rumori, le insegne che fioccano, quello sporco di matrice asiatica così affascinante e seducente, visibile sui grattacieli, sui marciapiedi, negli esterni dei negozi, nei palazzi decadenti.

Shenmue non è solo un gioco, è un' escursione in Asia. Che tutti avrebbero dovuto fare all'epoca e che oggi dovrebbero riscoprire. 

Non ho idea cosa succederà col terzo capitolo. Quando lo annunciarono, il cuore mi arrivò in gola e fui ben lieto di finanziarlo su kickstarter, perché proseguire in quella saga sfortunata, secondo me, era un atto dovuto. Era dovuto dargli ancora una possibilità, indipendentemente dai risultati, anche con il rischio porcata dietro l'angolo.



C'era il dubbio - legittimo - che 20 anni dopo poco si sarebbe potuto fare per avere quell'impatto. E che Shenmue era stato soprattutto quell'impatto. Ma il tempo è il miglior giudice delle cose, e a due decenni distanza ci ha mostrato che sì, quell'impatto rese quel gioco immortale quando uscì, ma anche quello stile e quel tipo di esperienza oggi ne hanno dimostrato l'importanza. 


Quindi sono diventato ottimista. Non è necessario che Shenmue III sia rivoluzionario. Non è necessario che cambi il mondo dei videogiochi in modo così deciso come i primi due.

È sufficiente che riproponga l'immensità di Hong Kong, che la ributti in pista con il giusto carisma e lo stesso dannato divertimento, e che magari sistemi anche le stramaledettissime espressioni facciali che tanto hanno fatto storcere il naso a tutti.

Se parliamo per il sottoscritto, possono rimanere così come sono, e non scherzo. Basta che si faccia centro su tutto il resto, sarà già tanto per compiere quel miracolo a cui molti di noi avevamo ormai rinunciato.


Perché supportare Shenmue III è imperativo per chiunque ami questa passione. Imperativo credere e dare credito a Yu Suzuki, infine, per andare avanti in un viaggio semplicemente intramontabile. 

Forza e in bocca al lupo. Ci vediamo nel 2019. 

mercoledì 29 novembre 2017

Quanto mi manca Valve



In questo periodo si gioca un po' come ai vecchi tempi: è normale, s'avvicina il Natale, i principali progetti lavorativi sono in via di pubblicazione e si ripartirà, a pieno regime, da gennaio. A parte il tam tam quotidiano che, per fortuna, nel mio caso porta a occupazioni abbastanza sedentarie, ci sarà da respirare un po' di più.

Come si diceva l'altro giorno, nei ritorni di fiamma, c'è poco da fare, c'è sempre di mezzo Nintendo. Sempre. 

C'era qualcun altro che riusciva a farlo, l'unica casa software in grado di competere con Kyoto per la qualità della roba pensata, sviluppata, rilasciata. Almeno per me. Questo qualcuno si chiamava Valve Software

Come Nintendo oltre ai "miei" generi (avventure, platform) riusciva a farmi riprendere tipologie che avevo abbandonato dopo gli anni dell'Amiga (RTS con Pikmin) o addirittura a farmi giocare roba che nelle prime incarnazioni non mi aveva mai fatto impazzire (i giochi in prima persona, Metroid, gli sparatutto competitivi, Splatoon) solo perché riesce a trovare in ogni occasione la chiave di volta, così Valve era riuscita, in quel lontanissimo 2004, a farmi fare il salto della quaglia con gli FPS, grazie a quel capolavoro assoluto di Half Life 2, titolo che ho rifinito ben 5 volte su tre piattaforme diverse. 



Half Life 2 è stato, insieme a Super Mario Galaxy, il più grande parco giochi virtuale dello scorso decennio. Un incessante avanzare di inventiva, varietà, giochi nel gioco, tutti diversi, tutti stupendamente immediati, tutti con un livello di sfida proporzionato, mai frustrante. Shooter ed FPS, survival horror, racing. C'era di tutto e di più. E con una grafica, lasciatemelo dire, che fu tra le ultime a far cadere la proverbiale mascella a terra.

Da lì Valve me ne ha fatte passare tante, ma contrariamente al gergo comune, tutte meravigliose. Non potevo non recuperarmi il primo Half Life, che a fine anni 2000 continuava ad essere invecchiato pochissimo e ad essere godibile (grafica a parte). 

Riesce a farmi sfondare nello splendido coop di Left 4 Dead, a cui gioco mesi e mesi senza sosta, quasi ogni sera. Mi consegna le meraviglie del gameplay con Portal e consacra tutto con Portal 2



Qualcuno all'epoca diceva, lo ricordo come se fosse ieri: "Non vorrei mai un Portal 3, abbiamo raggiunto l'apice", in un forum dove all'epoca scrivevo. Ragionamenti che non ho mai compreso. Come se ci fosse un motivo per non desiderare che una serie fantastica vada avanti, come se fosse obbligatoria una "rinuncia" non si sa bene per quale strambo motivo. Boh.

Comunque, Portal 2 è del 2011. E qui arriviamo al de profundis, perché da allora sono passati 6 anni, e Valve ha, di fatto, smesso di fare videogiochi. Quasi un anno fa veniva smentita l'ultima voce sul terzo capitolo di Half Life: esequie ufficiali. E - allo scopo di mantenere il discorso sui dei canoni minimi di dignità, si dovrebbe ignorare senza nemmeno pensare esista tale The Lab, progetto che rispetto ai kolossal a cui ci si era abituati è un insulto con tutti i crismi.

In questi mesi di Nintendo profonda, non posso negarlo, sento la mancanza di quella che consideravo la sua gemella occidentale. Che mi faceva divertire come solo Kyoto riesce a fare. Quella per cui il videogioco - siamo sempre lì - era anzitutto balocco, tanto che il buon Gordon Freeman si presentava un po' come il caro Link: non spiccicava una parola, rappresentava il giocatore e nessun altro, e addirittura ogni singola scena di intermezzo avveniva in tempo reale, con i dialoghi "in gioco" perché il gioco è vita, linfa che non va mai interrotta. 

Ovviamente accadeva lo stesso anche in L4D, nei due Portal, in tutti i giochi Valve. La filosofia del giubilo e della ricreazione. Non, uno, non due, ma ben sei Natali senza di loro provocano malinconia e un po' di tristezza.

Degli eccezionali artigiani del videogioco Made in USA. Che continuo ad adorare anche fosse solo per riconoscenza, visto quanto mi hanno fatto divertire, sorridere, passare serate liete. 

Di fatto, non esistono più. E questo mi manca da morire.


martedì 28 novembre 2017

Nintendo 2017: Caput Mundi



Innanzitutto una premessa. Questa Nintendo che, a più riprese, ed ancor più nella schermata che prepara al gameplay di Super Mario Odyssey, consiglia esplicitamente ai giocatore di utilizzare i 2 joycon separati per affrontare un gioco classicissimo quale può essere proprio il nuovo Mario, la dice lunga su quanto la gente non abbia capito che console pazzesca sia stata quel bistrattatissimo Wii.

Assurta ingiustamente ai disonori della storia come console dei casual gamer e non - come invece è stata - macchina capace di ospitare un po' di tutto, incluse - ma è fondamentale dirlo - le maggiori opere videoludiche (non so perché sia venuto a noia come aggettivo, a me piace l'italiano e lo trovo bellissimo, voi fate un po' quello che cazzo vi pare) della Nintendo 3d (e non solo) dai tempi dell'ormai vetusto sebbene glorioso Nintendo 64.



E il fatto che le critiche si rivolgessero quasi sempre al singolo wiimote, incapace - come in parte vero è stato, anche per una differenza sostanziale tra il primo e il wiimotionplus - di produrre quella rivoluzione di cui tanto si vantava, la dice ancora più lunga. Il controller del Wii, infatti, non era solo il wiimote. Ma precisamente nunchuck e wiimote, il che vuol dire una cosa semplice, facile da capire: non vogliamo fare solo motion control, ma vogliamo introdurre il motion control. Vogliamo proporre un pad che fa, senza mezzi termini, tutto: fungere da pad, ma anche da altro.

Trattato come una specie di appestato perché capivo la comodità assurda di giocare svaccato anche quando non si sfruttava mezza delle feature del telecomandino, ho pensato anche per lunghi anni di fare un cazzo di video su youtube dove si mostrasse che no, non era necessario sbracciarsi per muovere quel cazzo di puntatore, ma un semplicissimo movimento del polso.

Ma vabbè, chiusa parentesi e lunga premessa, questo Switch è a tutti gli effetti Wii 2, con una qualità software del primo anno immensamente superiore. Beninteso sia difficile dare la colpa a Wii e probabilmente a tutte le console mai uscite nella storia di Nintendo, dal momento che una macchina che nello stesso anno ti spara lo Zelda migliore di ogni tempo, uno dei Mario migliori, il seguito di uno shooter competitivo enormemente innovativo che è riuscito anche a far giocare un appestato come me, un picchiaduro rivoluzionario come Arms (che schifo il motion control, roba da appestati!) solo come pesi massimi, lasciando perdere la miriade di giochi che già popolano l'eshop, beh, è difficile che abbia rivali. Ma proprio in generale.

Il sopravvalutato Wii U (la meno incidente tra le console Nintendo mai vista, meno del Gamecube e non è per nulla una battuta) è stato esaltato un po' in ogni dove in ragione di un Mario Kart come non se ne vedevano da almeno un decennio, soprassedendo sulla mancanza di un Metroid, addirittura di un Zelda (poi di fatto uscito su Switch, nonostante la pubblicazione "condivisa") e di un Mario sì bello, ma lontano dall'epocalità del 64, dei due Mario Galaxy e anche dello stesso Odyssey. 

Zelda ha fatto quello che tutti si aspettavano, diciamolo pure chiaramente, con decenni di ritardo: rendere un open world divertente. Perché diciamolo con decenni di ritardo, e lo dovranno ammettere anche la maggior parte di quelli che ci fracassano le balle con rpg occidentali e menate varie da secoli: gli open world sono sempre stati una rottura di palle.



Certo, ci sono casi in cui questa rottura di palle è stata meno evidente (e uno di questi casi è sicuramente Metal Gear 5, che sebbene fosse un titolo clamoroso, che dovrebbe essere ricordato per decenni per il primo assaggio di divertimento dovuto anche al controllo del cavallo, che però presto si perdeva nella banale noia di fare poche cose tra un nuovo villaggio/centro scoperto e l'altro), ma in linea di massima abbiamo giocato, dal 1995 al 2015, a roba estremamente noiosa, spesso riempita da combattimenti noiosi e fatti in modo orrendo (penso a Morrowind ma anche ai più recenti di Bethesda), semplicemente perché eravamo attratti dall'idea, dal fatto di avere un mondo aperto e sfruttarlo. Attratti magari dalla trama, dal mondo post-apocalittico alla Fallout, e ci si giocava per quello.

E chi - come me - del fascino in un videogioco ne fa a meno da circa 15 anni, ma ormai misura in divertimento perfino la schermata introduttiva visto che del resto ne ha abbastanza, li ha abbandonati presto. Con qualche amico più recente ho dovuto ripetere a macchinetta quello che penso sia un'ovvietà: il videogioco è un balocco. E il fatto di essere così interessati a elementi comprimari al balocco (trama, personaggi eccetera) denota soltanto il fatto di essere sempre meno interessati a giocare. Il che non avrebbe nulla di male ma non ha altre possibili interpretazioni.

Ecco, Nintendo esplicita molto bene il videogioco come balocco. Lo fa dalla prima schermata del menù di Switch, secca, diretta, qui ci sono solo giochi in dashboard, niente menate con la funzione qui o quella funzione là. E lo fa con un Mario ennesimo capolavoro che chiude l'annata in modo clamoroso, in attesa di Xenoblade. Mario che dipinge gameplay, che ti fa perdere il sonno per quel cazzo di salto con la corda che non riuscirò a fare mai pena l'esaurimento nervoso, Mario che si dovrà per forza, come al solito, finire al 100%, come lo si è fatto con Zelda, come lo si fa con tutti i pesi massimi di Nintendo perché sennò non sono le stesse serate.



Mario che riprende un tema a me caro ai tempi del 64, quello di divertirsi semplicemente girando e saltellando, estremo a mio avviso non più toccato nello stesso modo né nel deludente Sunshine che negli spettaccolari Galaxy, che traevano dal level design la loro forza, dall'incedere dei livelli e delle idee continue, costanti, bombardanti. Qui di idee ce ne sono meno, ma c'è un'esplorazione da eccitazioni continue, c'è una ricerca pazzesca e piena zeppa di chicche: forse c'è troppa ciccia in poco spazio, ma chissenefrega, qui si celebra l'ennesimo momento di gameplay, di altissimo gameplay.



Diatribe e bisticci. Il povero Alessandro Bacchetta, autore di quel furto a mano armata di 9.4 su multiplayer.it, in fondo è un rapinatore vittima delle circostanze. Queste cazzo di scale nei videogiochi non hanno davvero senso, se un Uncharted (sparo un nome a caso, manco ricordo quanto ha preso, ma è per far capire) è valutato quanto Zelda mentre dovrebbe prendere un modesto 7, senza che questo debba gridare allo scandalo.

Ma sull'epocalità del 9.7 di Zelda c'è poco da discutere, non si avrà più un salto possibile come questo, perché Nintendo ha inventato l'open world con 20 anni di ritardo sulla nascita dell'open world, e questa è cosa non solo da non mettere in secondo piano, ma da ricordare ogni santo giorno finché si campa in questa vita piena di affanni e di problemi, in cui un trentaseienne come il sottoscritto, ormai abituato a trattare di cose ben più complesse come storia, sociologia e politica, ancora trova la forza, la voglia, la risata di parlare di balocchi elettronici, gli stessi in cui Nintendo è regina da sempre, perché ci si metta l'anima in pace, non esiste nessuno al mondo che li faccia nello stesso modo.

Nessuno ha mai fatto uscire una quantità così assurda di software di qualità come Nintendo nel 2017. Nessuno ha mai lanciato una console lontanamente paragonabile a Switch. In barba a chi preannunciava 10 anni fa la fine della Nintendo storica con l'avvento del terribile e maligno Wii, anni dopo Nintendo stessa risponde con una sberla che consolida la nuova macchina, ad un anno di vita, come la migliore mai uscita nella storia dei videogiochi. Il tempo smentirà o confermerà questa affermazione, ma al momento non c'è proprio trippa per gatti.

Una macchina che ci consegna lo Zelda migliore della storia, il secondo/terzo (boh, la verità è che Sunshine 2002 a parte, non s'è sbagliato un colpo) Mario più bello della storia, il bistrattatissimo motion control applicato in Arms alla stragrande, il seguito di quello Splatoon che riesce - come Kyoto già aveva fatto in passato - nel farmi giocare un genere che non avevo mai toccato nemmeno con un grissino, una quantità indicibile di scelta su un eshop più vivo che mai.



Gli auguri non possono che essere di florido successo, e non per ragioni consumistiche, malattia di cui siamo tutti più o meno vittime in questa epoca. Ma per una ragione banalissima.

Perché sperare che Nintendo viva, anzi che prosperi, è un po' come sperare che il videogioco continui, e non è per nulla un frase retorica, specie in chi, come me, ha rimodulato la passione negli ultimi, faticosi anni.

È sperare che la passione stessa trovi nuovi spazi di manovra, che chi non ha mai giocato uno shooter competitivo come il sottoscritto si converta, anche solo momentaneamente, perché solo Nintendo può riuscire a convincerlo.

È sperare di uscire da questa routine di titoli sempre uguali da cui siamo francamente invasi, mentre dalle parti di Kyoto ti innovano 4 generi come se fossero acqua fresca nel giro di un paio d'anni.

È sperare che i videogiochi continuino ad essere un balocco, e non un filmaccio che per carità, ogni tanto può anche piacere ma se fosse solo questo potremmo chiudere baracca e burattini e tornare alle nostre grigie esistenze senza divertimenti che, come diceva Nietzsche, sono presupposto per superare le barriere di pessimismo e raggiungere lo stadio dell'oltreuomo.


Buon Natale, il periodo è iniziato da ben prima dell'Immacolata.


martedì 17 ottobre 2017

Dal fumetto di Gottfredson alle Silly Symphonies: così Cuphead fa rinascere lo spirito da coin op



Plaftorm, run and gun, shooter in volo, shooter a terra. La varietà non manca. Anche se bisogna ammetterlo candidamente: nessuno si aspettava un capolavoro. Forse un buon gioco sì, ma non una pietra miliare. 

A dirla tutta, c'era la classica puzza di tutta estetica e niente sostanza. E invece, diamine se la ciccia non manca. Di Cuphead posso dire che aver deciso di comprarlo già alla vista dei primi trailer e le prime immagini, circa 3 anni fa. Avrebbe potuto essere anche la porcata peggiore degli ultimi anni ma lo avrei preso lo stesso e dirò di più, probabilmente lo avrei pure finito. 

Il motivo è fin troppo ovvio, a me che di Disney sono malato e che dei cartoni anni Trenta sono un cultore. Lo stile è assolutamente quello. I colori, le animazioni, perfino le dinamiche dei personaggi. Prima dell'evoluzione stilistica di Topolino e Paperino successiva al 1940, i cortometraggi dello studio californiano avevano questo aspetto.



In particolare, lo avevano le cosiddette Sinfonie Allegre (Silly Symphonies) ovvero degli autentici brani musicali animati i quali, nella mente di zio Walt, rappresentavano ciò che era l'animazione nelle sue forme più autentiche: disegno, grazia estetica che si muove a ritmo di musica. Certo, ognuna aveva la sua caratterizzazione, e se Cuphead visivamente ha ben poco a che vedere con "Il brutto anatroccolo" (1939) sfondi, tagli occhialuti e immagini generali sembrano uscire sputati da "La cicale e le formiche" edito nel 1934.

"La cicala e le formiche" (1934)



In Cuphead c'è la summa della Disney anni Trenta: non solo animata, ma anche fumettata. Se il primo sapore è quello delle Sylly Symphonies, il retrogusto richiama Floyd Gottfredson e alle sue strisce popolari, mentre di Carl Barks, una volta tanto, non ne sentiremo parlare.




Il gioco? C'è! E non solo: è anche un mezzo capolavoro. Dico "mezzo" perché non l'ho ancora finito, ma ci si accanisce per superare i livelli alle difficoltà reali e non "semplificate", perché ci si azzanna sui dettagli dei pattern, perché i nemici aggrediscono come se non ci fosse un domani e non perdonano nulla. Quell'aggressività che ricorda da morire quella dei coin op dei tempi andati, motivata dalla necessità di fruttare monete e partite in sala giochi o al bar. E quelle voci campionate prima dei boss, dai "Ready" ai "Knock out!" richiamano troppo ai "Fight" delle glorie Capcom o agli "Start your engine!" di Daytona USA. 

Generi diversi, ma quello spirito, in qualche modo, li unisce. Quando il gioco da sala era una meraviglia, le macchine casalinghe arrancavano. Poi hanno iniziato a dominare così tanto la scena che la meraviglia stessa è entrata in via d'estinzione. Hardware sempre più potenti ai quali qualche fesso aspira ancora con estremo giubilo, comparti vivisi ormai enormi, pur facendo dimenticare da dove siamo venuti. 

Cuphead riporta novità nell'approccio estetico al videogioco. Una componente che dovrebbe essere secondaria e che in questo caso non lo è. Ma siamo tutti contenti, perché qui si gioca davvero, e lo si fa pure con classe.

Che spettacolo!