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A Walt Disney Silly Symphony!

mercoledì 9 settembre 2015

Russia mia, c'eravamo tanto amati...ma alla fine fu soprattutto Storia.


Ripropongo (con qualche lieve modifica temporale) uno scritto che redassi al ritorno dal mio viaggio in Russia dell'estate del 2010, fin'ora confinato - piuttosto scorrettamente, a mio giudizio - tra le note di Facebook come un appunto qualsiasi. Qui credo abbia la collocazione più consona al valore che rappresenta per il sottoscritto.

Quando sono tornato in Italia, quel lunedì all'aeroporto di Fiumicino, ad ora di pranzo, la prima cosa di cui ho sentito un disperato bisogno è stata una bella accoppiata Cappuccino-Cornetto come non mi accadeva da tempo, e soprattutto mai alle 13:00 in punto. E' il primo residuo di due settimane passate all'ombra (si fa per dire) del Cremlino.
Questa semplice constatazione ha poco a vedere con le mie prossime considerazioni su quello che è stato, probabilmente, il viaggio da me più atteso fin dalla nascita. Per motivi di studio, di interesse, di curiosità eminentemente storiche, ma anche per il semplice desiderio di camminare, per una volta, tra le strade di quella che, erroneamente a mio giudizio, viene definita "la falsa Russia". 

Mosca viene descritta come una città occidentale, distante da quella che è la vera tradizione russa, come una copia fedele dei nostri modelli di urbanizzazione. Niente di più falso.
O meglio, lo è in superficie, quando si guarda al vestito, ma non alla sostanza al di sotto di esso, che inizia a rendersi evidente solo osservando più approfonditamente, scambiando quattro chiacchiere in un bar o in uno dei numerosissimi locali che popolano la capitale russa. Certo, Mosca è una città entrata appieno nel circuito della globalizzazione novecentesca ed attuale, è quindi naturale che ne mostri i segni in maniera anche piuttosto evidente: ciò non toglie che le molteplici tradizioni siano ben visibili, acuendo appena appena i propri sensi. 


La prima cosa che balza all'occhio di Mosca è la sua area metropolitana, semplicemente immensa. Non si tratta "solo" di dimensioni, ma di particolari, di distanze percorribili a piedi, di metri che andrebbero tranquillamente riscritti con un'unità di misura appositamente studiata per l'ex-capitale sovietica. Con le sue oltre 12 linee, la metropolitana è una vera e propria città nella città, non solo un mezzo di trasporto. 


La gente fa di tutto in metropolitana: lavora, mangia, beve, si ritrova per chiacchierare, si da appuntamento nelle zone centrali delle varie stazioni, probabilmente si scambia addirittura promesse di matrimonio. E' una vera e propria vita autonoma, sconosciuta (per lo meno in questi termini mastodontici) all'europeo occidentale, probabilmente vicina a quella che è la concezione americana del mezzo pubblico e dell'estensione urbana.
Esteticamente è un monumento non descrivibile con le semplici parole. Le stazioni più moderne e periferiche lasciano piuttosto indifferenti e non hanno nulla che non si possa ritrovare nelle nostre metropolitane (anzi, visivamente sono fin troppo grezze), ma quelle centrali sono un inno, un canto, davvero meravigliose. 



Si sprecano i riferimenti alle rivoluzioni russe di primo novecento, non soltanto a quella sovietica. La stazione di Kol'cevaja (in foto) è qualcosa che mozza il fiato, in generale le prime due linee, la rossa e la verde, sono un manifesto di architettura classica mai visto in nessun'altra parte del mondo: un vero capolavoro.
Dicevamo, le rivoluzioni russe. Non solo quella sovietica: affreschi, riquadri scultorei spesso rimandano alla rivoluzione del 1905, continuamente ricordata come punto di passaggio essenziale nel cammino che avrebbe condotto il paese verso il socialismo e il conseguente comunismo. 

Da simili particolari si deducono, progressivamente, tanti caratteri distintivi del popolo e della mentalità russe, soprattutto riguardo alla politica. Girando per Mosca ci si rende conto di trovarsi in una città che non si dichiara più la capitale del socialismo mondiale, ma che è anche capace di non rinnegare nulla (e intendo nulla) del proprio passato. L'URSS è stata una pagina anche umanamente tragica della storia russa: eppure, nonostante questo, i suoi simboli non sono scomparsi del tutto, dai piccoli stemmi ai lati dell'attuale Duma, alle già citate effigi nelle stazioni metropolitane, fino ad arrivare al mausoleo di Lenin e addirittura al busto di Stalin, ancora presente nel cortile posteriore alla stanza funebre del leader del 1917. 

Credo senza mezzi termini che noi italiani dovremmo imparare da questa mentalità. Non si tratta il solito polpettone anti-nazionale: i russi si potrebbero considerare peggiori in moltissimi aspetti, ma una simile concezione della storia, del passato, e delle proprie radici noi non riusciamo ad esprimerla. 

Chi mi conosce sa benissimo cosa pensi del comunismo e quale giudizio storico ne abbia. Credo sia molto complicato salvarlo, per lo meno nella sua versione ortodossa: nonostante alcuni intenti fossero nobili, ne ho sempre criticati altri ben meno etici e secondo me sottaciuti (come l'invidia sociale e la lotta di classe). Delle morti tragiche avvenute durante la sua esistenza mi sono interessato il giusto.

In ogni caso, ciò non toglie che la mia analisi e la mia valutazione di un pezzo di storia come quella dell'URSS non si discostino poi tanto da quello delle classi dirigenti russe che si sono affermate dopo il crollo. E' giusto, sacrosanto, mantenere i simboli di una storia tanto importante. E' corretto ricordare Lenin, personaggio di spicco che rappresenta, nel bene e nel male, una svolta assolutamente unica nella storia russa e (mi spingo anche oltre) sarebbe doveroso dedicare interi musei a Stalin, in quanto simbolo assoluto della modernizzazione russa, colui che, non badando alla moralità di alcuni mezzi, ha letteralmente stravolto il profilo urbanistico di una nazione, trasformandola in meno di un decennio in un paese a forte vocazione industriale. Chi ha un po' di sale in zucca dovrebbe riuscire a scindere l'aspetto morale di certi eventi dal peso squisitamente storico. Quello che è stato capace di fare Stalin è troppo evidente, impossibile da mettere da parte o da dare in pasto solo alla critica morale spicciola, perchè di tale si tratta. 

Ovviamente tutte queste considerazioni trovano origine nelle mie discussioni con alcuni russi, che in qualche maniera non hanno fatto altro che confermare le mie deduzioni. Mi rimane impressa la una cena con Alex, un mio coetaneo che, per caso, incontrai tra i tavoli di un pub vicino all'istituto dove, tra mille difficoltà, cercavo di barcamenarmi nella lingua russa. 

Curiosamente, Alex sembrava un mio coetaneo solo all'anagrafe e nell'aspetto, perchè in quanto ad esperienza di vita avrebbe tranquillamente potuto fare le veci di un fratello maggiore. La nostra chiacchierata fu piacevole, prevalentemente svolta in inglese anche se io, conseguendo per gran parte insuccessi, ogni tanto provavo al lanciarmi nella lingua locale. 

Tra un sorso di birra e l'altro per ciascuno, gli domandai dove fosse stato durante la settimana di quell'agosto del 1991: sbuffa, sorride e definisce quel periodo "Nelieppie dni" che sulle prime non comprendo, finchè non lo traduce con "crazy days". E mi racconta che non solo si trovava a Mosca, ma che era uno dei bambini in pieno centro e che per puro scrupolo i carri armati non affossarono, disobbedendo al cosiddetto "Comitato Rivoluzionario". 

Il giudizio di Alex sull'Unione Sovietica è lapidario, ma sereno. Non si scorge neanche un minimo del risentimento di cui si nutrono le sinistre in Italia quando cavalcano l'onda assurda dell'antifascismo, nonostante il paragone tra le due realtà sia semplicemente improponibile (e pesantemente a sfavore dell'URSS, se parliamo di etica e di morale). Mentre ne discutiamo mi interrompe e dice "ma prima o poi sarebbe caduto comunque. Non era un sistema in grado di sopravvivere" accennando un' espressione che rimandava chiaramente al concetto di "ineluttabilità". 

Anni fa lessi di alcuni sondaggi statistici svolti in Russia negli anni '90, in una fase in cui, com'è ovvio, in molti si chiesero se il popolo avrebbe richiesto a gran voce la democrazia, e quanto fosse interessato ad essa come forma di governo. I risultati furono alquanto scoraggianti: circa il 55% degli intervistati nel 1993 e nel 1997 si dimostrò sostanzialmente indifferente al problema. In buona sostanza, ai russi della democrazia non importava nulla, erano soltanto interessati alle libertà economiche. Alex parve confermare quei sondaggi, perchè quando gli parlai di democrazia e di quanto ne avvertisse la necessità in Russia, dimostrò una sostanziale noncuranza. 

Non per diprezzo nei riguardi del concetto, ma perchè era profondamente convinto della sua inapplicabilità, ed è a tal proposito che mi pose, sorridendo, una domanda ironica "ma che cos'è la democrazia?". 
Gli risposi che concordavo pienamente con lui sul fatto che essa, nella realtà, fosse poco più che un fantasma, ma anche che ci sono dei regimi (che definisco "oligarchie elettive") che oggi si prestano alla definizione di democrazia più di altri, come ad esempio la Russia. A quel punto la conversazione si arena, perchè entrambi ci rendiamo conto che la libertà di parola riguarda, in effetti, soltanto le chiacchierate tra gli amici, sia nella democratica Italia che nella "democrazia autoritaria" russa, e che in tal senso le differenze siano piuttosto labili. 

Nessuno, a livello mediatico, può realmente dire quello che vuole. O meglio, può dirlo nell'ambito di un contesto più grande, composto di orientamenti e direttive per larga parte ottimizzati, indi poco propense ad accogliere le voci dei singoli. Da post-fascista, conosco bene il problema, anche alla luce delle mie conoscenze e di quanto queste abbiano faticato a farsi strada in un quotidiano sportivo, a causa della loro provenienza politica.

Alex si dimostra piuttosto preparato sui temi della politica e della storia, e manifesta anche un certo orgoglio quando gli accenno alla reazione russa degli ultimi anni, in cui la Federazione si era dimostrata piuttosto determinata a non lasciare più campo libero agli USA negli stati confinanti, residui dell'impero sovietico. Parliamo della guerra dell'Ossezia del Sud, dei muscoli mostrati dal Cremlino in quell'occasion. "Siamo russi. Non abbiamo voglia di lavorare e pensiamo solo a divertirci. Ma non vogliamo essere sottomessi da nessuno". Una delle frasi più fiere e orgogliose che abbia mai sentito in vita mia. 

Che i russi non vogliano lavorare è un dato evidente, in ogni caso. Gran parte di quelli con cui ho avuto modo di parlare erano precari, scansafatiche, o disoccupati. Mentre le donne, quasi sempre, appartenevano a categorie lavorative più professionali. Ne ho tratto la netta impressione che in Russia sia proprio il "sesso debole" la vera forza trainante della società, quella che produce, consuma e fa crescere il reddito pro capite. Sono anche le donne le depositarie di molte delle tradizioni, evidenti anche girando in metropolitana o per la piazza rossa. Non si contano, ad esempio, le ragazze russe accompagnate da signore più anziane: le poche volte in cui ho avuto occasione di chiederlo, si sono rivelate le loro nonne. E' una specie di consuetudine, stare insieme alla propria nonna per fare la spesa, per andare a comprare un vestito o per sedersi semplicemente al tavolino di un bar. Una volta ho incontrato anche un papà con la propria figliola, durante uno dei numerossissimi viaggi in metro, ma suppongo sia stata un' eccezione, anche se il modo in cui si comportavano ricordava molto quello
delle accoppiate esclusivamente femminili. 
Altro cardine delle relazioni tra nonne e nipoti è il dono degli anelli. Me lo conferma Elena, una ragazza con cui uscii un pomeriggio nel bellissimo parco di Vorobyovy Gory, proprio di fianco al Volga. Mi mostra, un po' imbarazzata, un anello che le ha regalato sua nonna, e mi conferma che molti in Russia conservano tutt'oggi questa tradizione. 

Ma ci sono anche usi e costumi non squisitamente femminili, di valenza sociale collettiva e, diciamolo, anche piuttosto impressionanti. Una sera esco con un'altra ragazza di provenienza ucraina e andiamo a sollazzarci in uno splendido ristorante del suo paese. Per il ritorno, Lariza (si chiamava così) mi propone di prendere un "Taxi" non ufficiale, ma nemmeno abusivo: in pratica, è sufficiente mettersi sul bordo della strada e chiedere un passaggio ad un qualsivoglia autista, dopodichè si contratta un prezzo (in genere inferiore a quello dei tassisti regolari e degli abusivi "reali") per essere condotto a destinazione. 

Sulle prime spaventato, nei giorni successivi ho fatto caso maggiormente a questa usanza: è praticata da tutti, persone abbienti o di grado sociale basso, tanto nelle zone malfamate che in quelle più nobiliari. Più volte nella lussuosissima Kitai Gorod ho visto persone con il pollice sollevato contrattare prezzi e destinazioni con autisti sconosciuti, come se nulla fosse. Nell'ultimo giorno, ho "usufruito" anche io di questo servizio, andando all'aeroporto insieme ad una ragazza francese, dividendo il costo della corsa. Sconvolgente.

Chi dice che le donne russe siano tutte "facili" dovrebbe rifare i propri calcoli, mi sento di smentire categoricamente questo luogo comune. Semplicemente, la mentalità dominante impone di uscire subito con qualcuno che si trovi gradevole esteticamente, cosa che, in Italia, non avviene affatto, o per lo meno non con regolarità. E un assenso non vuol dire disponibilità a proseguire, ma solo ed esclusivamente voglia di conoscere. Ho sentito di persone che andavano in Russia ottenendo rapporti sessuali come se nulla fosse. 

Dalla mia esperienza a suo tempo ricavai che ognuno, con il suo atteggiamento, trova ciò che cerca e merita (con le dovute limitazioni di quella cosina che si chiama vita), perchè nel mio caso il festival del sesso è stato appena accennato, e su un piano secondario rispetto al dialogo e alla conoscenza di persone che, come in tutti i posti del mondo, si sono rivelate buonissime, cattivissime, superficiali, troie ed anche approfittatrici a seconda dei casi. Di sicuro c'è una cultura dell'appuntamento molto più approfondita, schietta e sincera di quella esistente in Italia (e in Occidente in generale), dove anche quando una donna trova interessante un uomo si fa pregare non una, ma cento volte prima di mostrare disponibilità ad una semplicissima e banalissima cena da appuntamento. Mi sentirei di opporre al luogo comune "le russe sono tutte facili" un bell' "le italiane sono tutte false", ma spero sia chiaro l'intento estremizzatore dell'affermazione, che non corrisponde assolutamente al mio pensiero.

Indubbiamente, la moda estetica ha contribuito alla diffusione di questi luoghi comuni. In Russia, l'eleganza è esclusivamente femminile, gli uomini non hanno nemmeno idea di cosa significhi vestirsi (e detto da uno che non spicca certo sotto tale profilo è ancora più grave). Tuttavia, anche l'eleganza femminile è incostante e non ha mezze misure: o semplicemente impeccabile (sebbene vi sia una mescolanza di colori completamente diversa da quella che siamo soliti osservare dalle nostre parti) oppure volgare senza ritegno, al punto che alcune russe potrebbero davvero essere scambiate, appunto, per le passeggiatrici da marciapiede nostrane.


Un cenno particolare alla meravigliosa Biblioteca Lenin va sicuramente fatto: un vero e proprio pozzo senza fondo che non è riuscito (per ovvi motivi) ad esaurire le innumerevoli curiosità per i periodi storici che avrei desiderato studiare più approfonditamente, ma che mi ha consolato per la presenza di un discreto quantitativo di materiale inglese, della cui esistenza sinceramente non speravo nemmeno.
Alcune considerazioni generali riguardano il ruolo che questo paese potrà avere nella politica internazionale nei prossimi anni. Che gli USA siano prossimi a non essere più la sola superpotenza è ormai chiaro a tutti, ma in molti pensano che il loro prossimo avversario potrebbe essere la Cina.
Io sono abbastanza convinto, invece, che proprio il Cremlino potrà ancora una volta essere il vero antagonista della politica di Washington. Lo dimostrano la crescita del Pil, dell'apparato militare, la assoluta inflessibilità sulle questioni ucraine e bielorusse, l'intenzione di abbracciare nuovamente, in qualche maniera, le ex-repubbliche baltiche. Senza contare che, questa volta, l'appoggio della popolazione è pressoché incondizionato, e che una zavorra ideologica che pesava molto sulle potenzialità produttive di un paese ricco di materie prime e di giacimenti energetici è ormai stata scaricata da tempo.


Che dire? L'ultimo paragrafo direi che viene confermato dal terribile casino che si sta verificando negli ultimi anni, tanto sulla questione ucraina che su altro. Speriamo di non essere ulteriormente profetico in senso troppo negativo.