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A Walt Disney Silly Symphony!

lunedì 20 aprile 2015

Gli studi parziali e la loro fonte di verità



Stamattina The Post Internazionale ha pubblicato questo articolo in cui viene mostrata un' analisi sui numeri dell'immigrazione in Italia.

Andiamo, senza fronzoli, a leggere i tre punti fondamentali del pezzo.

Punto 1) Quanto ha speso l'Italia per gli immigrati: nel 2012 lo stato italiano ha speso 12,6 miliardi di euro per l'arrivo di nuove famiglie di immigrati sul suolo italiano.
- Le spese comprendono gli oneri per i servizi sanitari (3,7 miliardi), quelli educativi (3,5), i servizi sociali (0,6), gli alloggi (0,4), la giustizia (1,8), le spese del ministero degli Interni per la gestione (1,0) e i trasferimenti economici (1,6).
- Calcolando che la spesa pubblica in Italia è stata di 800 miliardi, i costi dell’immigrazione sono stati l'1,57 per cento della quota complessiva.

Il valore delle spese per i migranti sarebbe "solo" dell' 1,57% del Pil, circa 13 miliardi di euro. Faccio presente che nella situazione in cui ci troviamo, di bilancio ma anche di politiche economiche europee restrittive, si lotta come muli da soma anche per tagliare 5 miliardi di tasse. Discutiamo da mesi dei 10 miliardi all'anno di Irpef tagliati da Renzi, su quanti siano realmente "a debito" e quanti, al contrario, frutto in un reale taglio della spesa. 13 miliardi, nel nostro contesto internazionale, sono un'infinità. Se ne potrebbe parlare in un universo alternativo senza situazioni debitorie nè parametri di Maastricht. Ma attualmente non è così, quindi direi che si può mettere la barra su questo primo punto. Anche perchè presume che l'ostilità al fenomeno migratorio sia esclusivamente basata su un banale calcolo fiscale, considerazione comoda, ma purtroppo - per chi ha scritto un articolo concentrato esclusivamente su questa voce - non veritiera. E ci sarebbe anche da discutere sul quel miliardo di euro destinato ad alloggi e servizi sociali e al suo raffronto con la spesa sociale nel suo complesso, in percentuale e nel totale.
Punto 2) Quanto ha ottenuto l'Italia dagli immigrati: lo stato, nel 2012, ha ottenuto 16,5 miliardi di euro dagli stranieri così suddivisi:
- Una parte delle entrate - vale a dire 7 miliardi di euro circa - deriva dal pagamento dell’Irpef (4,9 miliardi di euro), dall’imposta sui consumi (1,4 miliardi), sugli oli minerali (0,84), su lotto e lotterie (0,21) e per tasse e permessi (0,25).
- A ciò vanno aggiunti 8,9 miliardi di contributi previdenziali per gli stranieri.
- Il totale delle entrate di 16,5 miliardi di euro nel 2012 ha quindi coperto con scarto i 12,6 miliardi di spesa pubblica. I cittadini stranieri hanno fruttato 3,9 miliardi di euro all’economia italiana.

Gli immigrati producono Pil e pagano gettito fiscale. Logico. Verrebbe da chiedere: "altre ovvietà"? La frase sui 3,9 miliardi di euro "fruttati" all'economia italiana, poi, lascio il tempo che trova.
Innanzitutto, l'aumento di Pil può essere fisiologico quando c'è concentrazione di popolazione. Il pro capite però è un'altra storia, e lo "studio" non si ferma ad analizzare che il gettito non sia gratis, e si trovi a dover gestire, in un territorio estremamente concentrato come quello italiano, anche nuovi "utenti", con i relativi nuovi oneri e pesanti spese. Per farla spicciola ed elementare, se 10 persone in più portano 10 tasse individuali in più, conducono anche a 10 spese in più, non proprio la facile semplificazione di un'analisi fatta, ad occhio, solo con numeri che fanno comodo. Anche se c'è utile, ciò non implica assolutamente che sia distribuito in modo equo (ben di meno che con una crescita demografica di stampo familiare, in ogni caso non auspicabile vista la densità che c'è nel nostro Paese). Solitamente, le aree del mondo interessate nel passato da notevoli flussi di immigrati hanno creato le disuguaglianze sociali maggiori.  E' proprio la  distribuzione della ricchezza il vero nodo in un territorio dalla già alta densità che segue, in linea di massima, valori simili in tutto l'occidente (Stati Uniti esclusi).
Sostanzialmente ci si concentra su un fattore lordo senza analizzare minimamente le conseguenze nette di quanto avviene.
Ignorando quanto poi le migrazioni di massa siano umanamente "antiecologiche" non solo per i paesi ricchi, ma per lo stesso pianeta e per il divario immenso tra lo sviluppo e la fame nel mondo.
Tutti elementi che lo studio si premura accuratamente di non studiare. Il tutto tralasciando una marea di altri fattori, incluse le differenze tra immigrati regolari e irregolari, che potrebbe essere benissimo il punto di partenza della questione ma, forse per bontà mia, ho preferito lasciare in fondo, così, come una brezzolina marina sulla spiaggia di sera da assaporare prima di andare a riposarsi. Del resto settorializzare al minimo un elemento statistico è la strategia migliore per far passare un messaggio personale come verità assoluta.
Punto 3) Occupazione: gli immigrati creano anche lavoro. In Italia possiedono l’8,2 per cento delle aziende totali e, grazie a queste, producono 85 miliardi di valore aggiunto.
- Mentre il bilancio delle attività italiane è negativo, dal momento che nel 2012 almeno 50mila imprese hanno dovuto chiudere per via della crisi, gli stranieri hanno investito a tal punto da far crescere di 18mila il numero delle attività commerciali degli immigrati rispetto all'anno precedente.

Gli immigrati creano occupazione perchè investono. Anche questo, tecnicamente, è fisiologico, anche se non scontato: ma si ferma ancora una volta ad analizzare il breve periodo. E tanto per cambiare, a non osservare l'abbassamento del reddito dovuto alle perdite di attività proprietarie (favorito già negli ultimi decenni dalla globalizzazione e dalle leggi scandalosamente favorevoli alla grande distribuzione), cadendo di nuovo nell'ignoranza totale del problema della distribuzione della ricchezza. Innanzitutto bisognerebbe considerare tutte le sfaccettature di questi "investimenti" cosa che ovviamente non verrà mai fatta (e mi riferisco a diversità di trattamento denunciate su base locale da molti, senza contare discutibili legislazioni europee su vari mercati: uno dei casi più noti è quello dell' ortofrutticolo, che ha ammazzato gran parte dei negozianti di settore italiani, quelli che nel calcolo della crescita del pil dovuto agli immigrati non vengono calcolati, per intenderci).
Poi valutare nel lungo periodo gli effetti dei movimenti migratori di massa. Per farlo è sufficiente riferirsi alla storia: di numericamente simile a ciò a cui stiamo assistendo, ci sono solo i viaggi verso gli USA di fine XIX e di inizio XX secolo. La differenza è che gli Stati Uniti erano un paese praticamente privo di densità demografica e in quanto tale bisognoso di essere popolato (e, nonostante questo, non privo di selezioni, anche di stampo razziale) mentre l'Europa occidentale si trova in una situazione diametralmente opposta.

Il terzo punto è l'unico che può avere un riscontro reale: ma dimentica, tanto per cambiare, la storia. Ossia che, investimenti o meno, tutti i flussi migratori del passato hanno prodotto, sempre e con la sola e parziale eccezione degli Stati Uniti (per motivi già spiegati) effetti negativi sia nei paesi di arrivo che in quelli di partenza. Approfondendo, per di più, la differenza economica tra il mondo ricco e quello povero. Un tema che in Italia dovremmo sentire particolarmente: mi riferisco soprattutto ai meridionali, le cui migrazioni di massa (interne ed estere) hanno contribuito notevolmente ad ammazzare il Mezzogiorno per un motivo molto semplice: chi fugge non è solo il poveraccio senza futuro, ma anche quello con possibilità, con mai sfruttate capacità. In parole povere i cervelli, ma anche gli operosi e i competenti.

Per concludere? Dati estremamente circostanziali spacciati per fotografi obiettivi di un quadro complesso: ci si sofferma, per di più in modo parziale ed incompleto, sul dato fiscale e produttivo della prima ora, e si esclude il concetto di lungo periodo,  si ignora la complessità del fenomeno migratorio in tutte le sue sfaccettature.
Si dirà che l'obiettivo di chi scriveva era semplicemente dare dei dati su un argomento specifico. Io invece penso, vista la tendenziosità di non porsi nemmeno il problema di distinguere chi è regolare da chi non lo è, che lo scopo sia sempre lo stesso: continuare a propagandare la distruzione delle identità, il sovraffollamento diseguale del pianeta terra, la diffusione del basso costo del lavoro tanto nelle fabbriche nel terzo mondo che in quelle del "primo", la messa al bando aprioristica di qualsiasi reale politica di sviluppo dei paesi più poveri, enormemente danneggiati nel lungo periodo proprio dalle migrazioni di massa.

Chiudo con la fonte su cui si è basato l'articolo del Post, ossia la fondazione Leone Moressa, che - cito testuali parole - si propone non di fare verità sulla questione, ma di "colmare i pregiudizi sulla popolazione immigrata attinenti alla sfera economica e finanziaria, in modo da contrastare la diffusione di determinati stereotipi e gli atteggiamenti discriminatori che ne derivano". Insomma, sicura indipendenza, fate un po' voi...soprattutto in lotta contro pregiudizi decisamente aggiornati ai tempi di oggi. Qualcuno gli dica che di immigrati ricchi ce ne sono da un bel pezzo!

giovedì 16 aprile 2015

Demoliamo Twin Peaks

E' terminata la scorsa settimana la nuova serie televisiva prodotta da Sky, Fortitude, che oltre alla presenza di attori non molto navigati ma efficaci, faceva figurare nel cast anche il mitico Stanley Tucci, bravo ma non troppo valutato interprete statunitense (se non altro nei ruoli principali), nella parte del poliziotto londinese inviato nello sperduto villaggio polare dove la pace era tale da non esservi nessuno in grado di affrontare l'imprevisto di un omicidio. L'assurdo paradosso della tranquillità: come si fa a giudicare la bravura di un agente senza mettero alla prova?

I più attenti ricorderanno sicuramente gli slogan che hanno accompagnato la serie che, alla sua uscita, veniva chiamata il "Twin Peaks dell'artico". E questo mi ha portato a ricordare cosa ho sempre detto da quando, circa una decina d'anni fa, recuperai la serie tv ideata da David  Lynch che è, tra l'altro, difficilmente discutibile come artista (ma per ben altri motivi). Sissignore, nel 1990 avevo meno di dieci anni, e ricordo benissimo che, mentre i miei compagni di scuola si nutrivano in TV di prodotti come la suddetta serie e, qualche anno prima,  il cult Visitors, io non ci riuscivo perchè non sopportavo i racconti di tensione, convinto, non si sa per quale motivo, che fossero dell'orrore (senza aver mai compreso il significato del termine tra l'altro, confondendolo con lo splatter). Poco dopo mi sarei "convertito" totalmente, ma questa è un'altra storia. L'impatto con Twin Peaks, comunque, fu spiazzante: lo dirò senza mezzi termini, ho visto poche cose più sopravvalutate di un prodotto tanto mediocre spacciato per capolavoro.

L'eccitazione diffusa negli anni successivi? Assolutamente incomprensibile, la noia fatta telefilm super idolatrata per non si sa bene cosa: mini-storie totalmente prive di spessore che dovevano, nelle intenzioni dell'autore, risultare il vero nocciolo di un'opera in cui il giallo Laura Palmer era solo un pretesto. Di intenti si può parlare fino alla morte, ma i risultati erano tragicomici. I personaggi erano tutto meno che lugubri: i più cattivi avevano addirittura aspetti da malvagio del classico telefilm anni 80 (mi riferisco a Windom Earle o al nevrotico Leo Johnson, per dire i primi che mi vengono in mente), la vera atmosfera claustofobica (e la stessa fotogafia) era accennata nel pilota e in pochi altri episodi. Killer BOB era un tentativo e nulla più. 
In pratica si salvavano solo i sei episodi diretti da Lynch (e manco tutti, diciamo che il pilota era ciò che rimaneva più impresso), il resto era un minestrone andato a male di soliti scritti da telefilm, personaggi fuori controllo, script modesti e dialoghi pure abbastanza ridicoli, senza un minimo dello spessore che le serie tv hanno mostrato negli ultimi 15 anni, ma neanche un briciolo. Era una buona idea senza nessun vero sviluppo, un guazzabuglio di superficialità  spinto da una ben discreta (ma monotonissima) colonna sonora che provava a rendere profondo ciò che non lo poteva essere. La sceneggiatura era la grande assente.
 
Ora, Fortitude non è un capolavoro, per carità. Tempi stranissimi, sceneggiatura deboluccia  per 3/4 della serie, però anche una storia simpatica, tutto sommato coraggiosa, ambientazione egregia e personaggi che per lo meno hanno un profilo psicologico, non una musica pseudo-orrorifica a cercare di dare - male - una mano dove trama e dialoghi falliscono miseramente. Il poliziotto Eugene Morton interpretato da Stanley Tucci, ossia una delle caratterizzazioni più banali e stereotipate della serie, dà la birra a uno qualsiasi dei personaggi dlla serie "culto" di Lynch, Laura Palmer inclusa, probabilmente una delle poche di fascino perchè appare a sprazzi. Senza parlare di altri come Dan Andersen o Henry Tyson...
Un ciarpame imperfetto,  ma rispetto a Twin Peaks un capolavoro alla Hitchcock.

Io dopo anni e anni mi sono costruito una verità che possa spiegare il successo critico (non commerciale, attenzione) dell'opera di Lynch, ossia uno dei casi di maggiore delirio collettivo che abbia mai visto in vita mia. 
Facciamola breve, penso che i consensi a Twin Peaks siano dovuti a un solo motivo: l'età estremamente bassa che caratterizzava gli spettatori delle serie all'epoca. Un fatto abbastanza ovvio, visto che, come prodotto di massa, esse si sono diffuse a partire dagli anni Settanta e hanno interessato sempre più pubblico solo negli anni Ottanta. Gli adulti ancora non le guardavano come oggi le seguiamo noi, che in fondo ci siamo nati e rappresentiamo una generazione per la quale, non a caso, sono stati creati serial tecnicamente impensabili anche solo dieci anni fa. 
Non ricordo un solo venticinquenne (ma neanche ventenne) che all'epoca guardasse Twin Peaks: e ne conoscevo, vista l'età dei miei due fratelli (di 9 e 10 anni più grandi) che spesso invitavano amici in casa con cui parlavano di tutto e di più. Solo adolescenti e poco più. Gli stessi che hanno decretato il successo di Beverly Hills 90210, insomma. Traete le vostre conclusioni, per quanto fastidiose possano essere....

La parola che meglio sintetizza tutto ciò sapete come si chiama? Nostalgia.

E che si fa in nome di quella e nient'altro? Semplice, si mettono in moto le ruspe! Io vado, alla prossima!


domenica 12 aprile 2015

Il Rasoio di Occam dei vincitori viaggia sempre al contrario

Il precetto metodologico, com'è noto, sostiene che "a parità di fattori la spiegazione più semplice è preferibile". Mi è venuto in mente pensando alla celebre storia riguardante il suicidio del famoso sopravvissuto di Auschwitz, italiano di origine ebraica, il chimico Primo Levi, il cui anniversario è stato, appunto, l'11 aprile.
Leggendo un po' di cronache su quella triste vicenda, mi sono imbattutto in questo video, infarcito della  solita retorica moralista, senza nessuna voglia di accertare la verità, in cui lo scrittore Marco Belpoliti definisce "l'enigma del suicidio" di Levi.



Si parla di traumi psicologici del tutto giustificati (e del tutto presumibili per una persona che sopravvisse all'Olocausto) e di "sensi di colpa" del Levi indotto al folle gesto (qui la storia diviene già ben meno credibile, o meglio, frutto di un' idea personale sull'argomento spacciata, però, per dato oggettivo). Neanche un accenno a ricostruire l'evento: solo racconti drammatici personali e letture del pensiero.
Come letture del pensiero dovevano aver fatto, evidentemente, i miei professori delle medie, tutti compattamente schierati nel raccontarci la tragica morte di Levi come causata da suicidio.

Quando, una decina di anni fa, venni a sapere qual era stata la dinamica del decesso, sinceramente sgranai gli occhi, anche perchè avevo creduto fino in fondo a questa certezza comunicatami in modo tanto genuino dai miei insegnanti. Per chi non lo sapesse, Levi fu trovato morto nell'aprile 1987 alla base della tromba delle scale della propria casa di Torino in corso re Umberto 75. All'origine c'era evidentemente una caduta.
Sorge spontaneo chiedersi come mai un aspirante suicida non avesse lasciato alcun biglietto di addio, e, soprattutto, perchè avesse optato per un metodo tanto complicato, quando lanciarsi dall'ultimo piano di un palazzo (per citare il primo di un macabro elenco di ovvietà) gli avrebbe garantito ben altre probabilità di "successo". Insomma, mancano le prove, e soprattutto la dinamica  è, nel 99% di altri casi simili, considerata un incidente, per i motivi sopracitati. Non si capisce come mai questo caso sia stato non solo interpretato, ma addirittura raccontato con una definzione tanto drastica.

Le prove mancano a tal punto che, forse per renderle tali, il signor Elio Toaff, storico rabbino toscano, ha dovuto testimoniare, circa 18 anni fa, di una presunta telefonata in cui Levi, pochi minuti prima di rischiare di vivere lanciandosi dalla tromba delle scale, avrebbe annunciato il gesto grazie al quale per "buona sorte" trovò la morte. Ma nel frattempo, di nuovo, nessuna prova: nemmeno lo straccio di un tabulato o di una registrazione telefonica, nulla. Sostanzialmente la parola di Toaff vale di più della stranezza di un signore che, senza lasciare biglietti di addio e senza lanciarsi da un quarto piano, si uccide con il più improbabile dei sistemi.

Non si capisce perchè, però, parola per parola data per prova, non valeva quella di Rita Levi Montalcini, che disse a più riprese di aver anche lei sentito telefonicamente Levi il giorno prima dell'accaduto, di averlo trovato di buon umore e senza la benchè minima idea di chiudere la propria esperienza sulla terra.
Insomma, una caduta viene raccontata a centinaia di migliaia di giovani, ogni anno di elementari e medie, come suicidio. Posso dire che "io c'ero", e tra i miei vaghi ricordi c'è anche quello in cui mi immaginavo, impressionato bimbo di manco 10 anni, come questo vecchietto potesse aver deciso di farla finita. Tra i tanti, e senza essere un fine investigatore, penso che nessuno tra noi avesse mai pensato a una caduta dalle scale.

Chiudo con una considerazione: ciò che sconvolge di una ricostruzione riproposta con la stessa forza per tanti anni, non è il concetto di possibilità, ma quello della certezza ostentata, almeno nei primi anni, che tra l'altro ricordo molto bene perchè come storia mi colpì molto.

Passi la prima, su: esistono molti modi stupidi di uccidersi, tra questi ci può anche essere la paranormale idea di credere di poter perdere la vita in modo avventuroso e incerto, cadendo in una tromba di scale, anzichè lanciarsi dall'ultimo piano di un palazzo o di spararsi, strategie che, sono sicuro, concedono orizzonti ben maggiori a chi vuole anticipare il proprio trapasso. In fin dei conti chi tenta il suicidio spesso combatte con il coraggio di un gesto del genere, atteggiamenti contradditori come l'attaccamento alla vita che spesso persiste, e quindi si può anche pensare, nonostante l'improbabilità di un metodo del genere, che in mezzo attimo si possa agire d'istinto.

Ma questa benedetta certezza da dove nasce?
La metto sul misericordioso, così che nessuno ne abbia a male: Dio benedica Primo Levi, lo scrivo col cuore in mano: lo benedica a tal punto che spero che il suo ateismo sia rimasto colpito dalla grandezza del Signore.
Ma chiunque speculi sulle morti (e questo è uno dei casi in cui, a mio avviso, ce ne sono stati tanti) deve solo ringraziare di essersi trovato nel solito lato giusto di quel gigantesco letto di sangue rappresentato dalla Seconda Guerra Mondiale.


venerdì 10 aprile 2015

Equiparazione giusta? Forse, ma anche un limite alla storia

 


E' di ieri la notizia che l'Ucraina ha approvato una legge che equipara il Nazismo al Comunismo, considerando quindi entrambi regimi criminali. La Rada, il parlamento ucraino, legifera così, con 254 a favore su 307 presenti, ciò che porta alle conseguenze più ovvie: il divieto dei simboli dei due regimi, la loro propaganda e la negazione del loro "carattere criminale". Per i trasgressori sono previsti sino a 5 anni di reclusione. "Con questa legge il regime totalitario comunista esistente in Ucraina dal 1917 al 1991 viene riconosciuto come criminale e accusato di aver promosso una politica del terrore statale", si legge nel testo.
Le reazioni? C'è chi si indigna, come il Centro Wiesenthal, l'organizzazione ebraica per i diritti umani,  che definisce la decisione "oltraggiosa" (elabbeppa, addirittura: i morti del comunismo non sarebbero degni della loro tutela?), e chi si esalta, come qualche ucraino sui social network che urla alla benedizione "Era ora", "Non ce ne frega niente del pensiero di coloro che non lo hanno vissuto [il comunismo nda], ma non sanno nulla" eccetera.

In realtà, pur non avendolo vissuto, in tanti conoscono i numeri delle vittime del socialismo reale (la differenza di cifre è troppo grossa per poter essere messa a tacere), ma in Occidente la cultura di sinistra ha gettato basi molto solide,  e questo anche grazie alle montagne di denaro che venivano da Mosca. E le ha gettate a livello culturale, etico, addirittura strutturale, non è stato un semplice sostegno economico come quello di cui - in Italia - hanno beneficiato DC e altri partiti filoamericani in tempo di Guerra Fredda.

Sorvolando sull'aspetto strumentale di questa votazione, nata secondo me con l'unico scopo di ingraziarsi buona parte degli uomini delle destre europei, da sempre maggiormente consapevoli della clamorosa operazione di rapina che gli USA, con il suo braccio UE e grazie alla consapevolezza inconscia di chissà quanti cittadini ucraini, sta compiendo alla sfera di influenza russa, voglio esprimere un concetto che è abbastanza difficile da ignorare, anche se la cultura di massa lo fa costantemente e da anni: l'equiparazione negativa dei due sistemi potrebbe teoricamente avere un fondo di bon ton storico, ma è il concetto di regime criminale ad essere semplicemente contrario alla logica, anacronistico e pure irrispettoso di persone che hanno creduto, attraverso un'idea, di migliorare mondo, società, nazione, di portare al riscatto il proprio Paese, eccetera.
Questo tralasciando la noiosa equiparazione tra nazismo e fascismo, come al solito superficiale e basata su pochi, pochissimi elementi, per di più venuti fuori in gran parte nella fase finale dell'esperienza fascista, o ancora peggio nel contesto di un governo di fatto vassallo del Terzo Reich.
Le ideologie, indubbiamente, hanno anche portato avanti anche idee moralmente deprecabili, come l'odio etnico, l'odio o la lotta di classe, la violenza contro l'avversario, eccetera.

Ma il problema è molto più banale, ossia: è corretto fare torto a un comunista per aver creduto in un internazionalismo avulso dal concetto di classe? E' indubbio che le ideologie, in quanto frutto dell'imperfezione umana, possano andare oltre, ed è altrettanto indubbio che nella fattispecie si sia messo in pratica uno dei precetti basilari del marxismo, ossia la persecuzione delle classi borghesi. Lo sterminio perpetrato da Stalin contro i contadini kulaki, i contadini cosiddetti benestanti a partire dal 1929, va perfettamente in linea con il concetto di lotta di classe, solo che proviene dall'alto (poi si può mettere in dubbio il benessere dei kulaki stessi, come rilevava giustamente lo storico Andrea Graziosi , ma non ci dilunghiamo).  Stesso dicasi per l'imperialismo comunista: l'obiettivo di conquistare il mondo (o di esportare la rivoluzione, pragmaticamente affine) era semplicemente in linea con chi credeva di voler imporre un certo modello.
Allo stesso modo, il Nazismo nasce dalla sottomissione della Germania nel 1919: che da essa sia nata un'idea anche ricca di elementi di odio nessuno lo discute, ma si trascura il fatto, non secondario, che  gran parte di chi vi credette lo fece prima di tutto per sentimento di rivalsa dopo le umiliazioni subite a Versailles.
I drammi della Shoah e dei milioni di morti del comunismo non cancellano le idee apertamente condannabili, come anche altre proposte non prive di dignità.
Qualcuno dirà, come al solito, che il Comunismo non raggiungeva gli abomini teorici del Nazismo: a parte il fatto che si potrebbe contestare anche questo (per quale strano motivo la persecuzione ed eliminazione fisica di una classe sociale dovrebbe essere meno grave di quella di un'etnia? La vita dei borghesi è forse sacrificabile, a differenza di quella degli ebrei?), qui non si sta competendo per alcun trofeo del vittimismo: se non altro, sarebbe auspicabile smettere di farlo una volta per tutte. Si sta dicendo che tutte le idee, al di là di storture iniziali o degenerazioni nate dopo, hanno una loro ragione storica, un loro contesto, e un obiettivo in cui hanno creduto persone normalissime che non hanno alzato manco mezzo dito contro il prossimo in tutta la loro esistenza.

Chiudiamo con chi in questo discorso non c'entra quasi per nulla, se non per i sinistroidi italiani che si fanno reggere il moccolo dalla comunità internazionale di tanto in tanto.
Il Fascismo? Portava avanti l'idea del riscatto italiano, credeva nella forgiatura, attraverso tanti decenni di educazione, di una civiltà italiana politica che nessuno si è mai curato di creare, credeva nel principio della concordia di classe, nella pace sociale. Aveva addirittura una visione internazionalista, in cui riconosceva il diritto di tutte le nazioni alla propria identità e alla propria autonomia cultura. In corso d'opera, come tutti i fenomeni umani, ha commesso degli errori e anche delle cose moralmente deprecabili come l'approvazione delle sicuramente detestabili leggi razziali, per di più contro una categoria che aveva contribuito in modo decisivo alla nascita del movimento e alla diffusione delle sue idee (si pensi al ruolo centrale giocato da Ettore Ovazza fino alla metà degli anni Trenta).

Non voglio banalizzare con un "capita", ma è la pura verità. Queste leggi proibizioniste sono contro le persone normali che hanno creduto in degli ideali, ma peggio ancora sono contro i concetti di storia, di approfondimento, di studio. Soprattutto, sono stupide: perchè non impediscono in alcun modo alla violenza umana di riproporsi sotto simboli differenti. Credete davvero che abolire una falce e martello impedisca la nascita di un nuovo movimento con idee simili, degenerazioni simili ma con una effige differente? Se sì, auguri.

La svastica è un simbolo antico, pre-esistente alla storia del Nazismo di almeno un paio di millenni. E dal significato profondo, intenso, importante. Bisognerebbe studiarla, forse, anzichè vietarla. Con buona pace del Centro Wiesenthal, che tra l'altro potrebbe pure ricordarsi ogni tanto di tutti gli ebrei perseguitati in Unione Sovietica fino al 1972.

domenica 5 aprile 2015

Storia di storie e di dinamismo interpretativo




In risposta a tutti coloro che vogliono ancora intepretare le ideologie del passato, di qualsiasi genere esse siano state, ancora in ragione di presunti mali e beni assoluti, senza capire i concetti di tendenza, di divenire, di perfettibilità umana. E che non recepiscono quanto tutti, nella nostra infinita miseria di esseri imperfetti, abbiamo bisogno di credere in delle idee per sognare.

"Il fascismo è una concezione storica, nella quale l'uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre, nel gruppo familiare e sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni collaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del vivere sociale. Fuori della storia l'uomo è nulla. Perciò il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la «felicità» sulla terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un certo periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del genere umano. Questo significa mettersi fuori della storia e della vita che è continuo fluire e divenire. Il fascismo politicamente vuol essere una dottrina realistica; praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che si pongono storicamente da sé e che da sé trovano o suggeriscono la propria soluzione. Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto."


sabato 4 aprile 2015

Giovani umiliati e ai margini, riconosciuti solo dalla violenza



Eccoci a rinfrescare le nostre povere menti sull'ennesimo episodio di bullismo, stavolta ad "opera" di studenti provenienti da Cuneo. Ovviamente lo scandalo colpisce perchè la povera vittima viene seviziata fisicamente, unica tra le tre condizioni necessarie ad autorità, media e sistemi pedagogici per mettere in moto la solita reazione punitiva che altrimenti neanche verrebbe concepita: per essere chiari, gli altri due casi riguardano vittime omossessuali o suicide (magari entrambi). 

Cosa è successo, nella fattispecie? Quattordici studenti minorenni del liceo di Cuneo e in visita scolastica a Roma, si sono dati appuntamento in una delle stanze dell'albergo a fare un po' di festa: e fin qui, niente di male. Poi quello che succede sempre nel branco, ossia lo scherno verso il solito ragazzo indifeso, incapace di resistere agli assalti verbali di dieci persone tutte contro di lui, infine l'epilogo peggiore: lo spogliano, lo depilano e gli attaccano delle caramelle addosso, riprendendo l'agghiacciante scena con il cellulare. Il video circola su WhatsApp, i professori se ne accorgono e convocano d'urgenza i genitori. La punizione è esemplare: sospensione per tutti con tanto di 4 in condotta che implica, senza mezzi termini, la perdita dell'anno. 

E i genitori di questa marmaglia putrida, insolente, inumana e incivile cosa fanno? Li difendono. "La punizione è esagerata" tuona una delle mamme. Qualcuno ha addirittura dato la colpa ai professori che, poveri loro, non erano a vigilare come guardie svizzere nel pieno della notte. "È stato uno scherzo. Forse pesante, ma uno scherzo. Lo sbaglio è una punizione tanto severa" risuona la voce di un altro genitore. Qualcuno dice le cose come stanno e afferma: "Li condannano a perdere l'anno, una rovina per molti con quello che oggi costa frequentare un liceo". Finalmente un po' di sincerità! Chissenefrega di valori umani, educazione e rispetto del prossimo, e diciamolo pure, chissenefrega anche dei nostri figli, è il soldo che non può mai mancare, dopotttutto siamo in crisi economica.

Tornando all'incipit, la reazione solo per gli episodi più gravi ed evidenti (come questo, l'emarginazione di un omosessuale e, nei casi peggiori, un suicidio) dimostra il fallimento di questo sistema pedagogico. Ci sono decine e decine di studenti che soffrono le pene di una società giovanile, scolastica ma anche genericamente educativa, totalmente indifferente a difendere la dignità della persona. E soffrono senza bisogno di essere stuprati da un tubo ad aria compressa o senza essere rasati e "decorati" di caramelle: vengono semplicemente messi ai margini, usati solo per il divertimento del branco e mai per essere inclusi nella società.
Non hanno neanche gli stessi "diritti civili" dei compagni di classe o di scuola, per loro è impossibile essere considerati se non per essere derisi. Molti di loro accusano, nella crescita, evidenti traumi psicologici dovuti agli anni della scuola e alle sofferenze, anzitutto psicologiche, subite.
Di tutta questa gente non frega niente a nessuno. Non esiste un'educazione primaria che insegni i ragazzi a pensare PRIMA al collettivo e poi al singolo: vige l'individualismo più sfrenato.

"E' un episodio grave. Siamo dovuti intervenire con fermezza per far capire quali sono i limiti, il rispetto delle norme" ha dichiarato il consiglio scolastico a Cuneo. Sacrosanto, ineccepibile, raziocinante. Il sogno è che vengano messe al bando teorie senza basi pratiche e che si riprenda ad educare dal principio, vigilando non solo sulle conseguenze evidenti, ma anche sui comportamenti quotidiani dei ragazzi. E dei genitori. Ai quali, personalmente, auguro di pagare 10 anni in più di liceo. Non uno soltanto. Perchè meritano solo questo.