"Caso Benigni-Costituzione". Per lo meno, seguendo il teatrale radical chic, nonchè politicamente correttissimo, Andrea Scanzi, giornalista per hobby che riscuote un notevole successo. Il nodo è la dichiarazione del comico toscano che, l'altro ieri, ha affermato di essere favorevole alla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione.
Il pensiero corre alla doppia serata (17 e 18
dicembre 2012) in cui Benigni presentò al pubblico un monologo sulla
carta dal titolo eloquente La più bella del mondo.
Un monologo
piuttosto banale (decisamente inferiore, nell'opinione di chi scrive, a I
Dieci comandamenti, trasmesso nel Natale 2014) in cui il comico toscano
si dilettava in sperticati elogi della nostra legge fondamentale,
facendo riferimento al titolo piuttosto esplicito.
In
conseguenza di questo ricordo, piuttosto sbiadito nei lettori, ma
probabilmente molto lucido in qualcun altro, si attacca oggi Benigni per
la sua affermazione, e sono partite sul web le varie scomuniche: dal
"Roberto, ti ho voluto bene, [...] ma siamo al satirico che si fa mesto
turibolo del Potere" (citazione dal Maestro Scanzi), al "Benigni, ma non
dicevi che era la più bella del mondo?" che imperversa nelle solite
immagini meme sui social.
Ora, evidentemente, oltre ai ricordi, sono
anche le conoscenze della nostra carta costituzionale che mancano agli
italiani e, in generale, ai cittadini comuni di qualsiasi Stato.
La
gente non è nata per esercitare un ruolo giurisdizionale, e a ben vedere
non è nemmeno giusto che lo faccia, al di là di tutte le frasi
retoriche su quanto dovrebbe essere responsabile un popolo in materie
così specifiche. Sicuramente l'ignoranza in Italia ha raggiunto
livelli di guardia preoccupanti, ma è perfino banale che non si possa
chiedere a tutti di interessarsi di diritto costituzionale.
E'
quindi proprio del popolino che si approfittano intellettualoidi di
varia specie (incluso lo stesso Benigni, sia chiaro), in generale
conservatori che, forti del loro ruolo mediatico e talvolta accademico,
ingannano apertamente le masse.
Non si spiegherebbero altrimenti le
barricate per la riforma del 2005 votata dal governo Berlusconi e
presentata come una forma di autoritarismo quasi sanguinario (mentre in
realtà non conferiva al governo più poteri di quanti non ce ne fossero
in tutte le altre costituzioni occidentali democratiche), nè si spiega
come, in questo caso, e per una riforma ben più modesta come quella
appena votata nel ddl Boschi, esponenti delle opposizioni gridino alla
dittatura, ma anche come Gianni Ferrara, professore emerito di diritto
costituzionale alla Sapienza di Roma, si sia quasi stracciato le vesti
parlando di "mutilazione della democrazia" e della "necessità di fermare
l'eversione autoritaria".
Passiamo al cuore della questione, ossia
la carta italiana. Prescindendo dal giudizio negativo che si può dare
del più colossale pasticcio istituzionale mai creato in preda a
contestualizzazioni storiche folli (leggi, la fine del fascismo), la
nostra Costituzione è composta di 139 articoli: i primi dodici enunciano
i principi fondamentali, mentre arrivati al numero 54 si comincia a
parlare di diritti e doveri dei cittadini. La sezione che riguarda la
riforma del Senato viene dopo, per la precisione nel Titolo I della
seconda parte, mentre le modifiche che si vogliono introdurre al
rapporto tra Stato e Regioni riguarderanno il famoso Titolo V, quindi
ancora più "in giù".
Questa riflessione non è una difesa di
Benigni di cui non sono neanche un estimatore (anzi) ma della realtà
contro le solite ipocrisie: il comico toscano non ha mai detto, nello
spettacolo di due puntate andate in onda sulla Rai tre anni fa, che non
approvava un cambiamento della seconda parte della Costituzione. Anzi,
il monologo iniziava, oltre che con i soliti sperticati elogi della
carta, anche con un "Certo che si può cambiare, ma magari la seconda
parte, la prima non si discute" e con una lettura successiva dei
principi fondamentali, fermandosi quindi ai primi 12 articoli.
Il
vero problema è che signorotti dello status quo e del click facile come
Scanzi, così come tutti quelli che vogliono prendere per il naso gli
italiani su una questione cruciale di cui evidentemente in pochi
conoscono l'importanza ("non si mangia con le riforme" pluricit.),
puntano su una sostanziale ovvietà, ossia la conoscenza pressochè nulla
della carta stessa: è facile, quindi, gridare all'incoerenza contro un
esponente fondamentale della cultura di massa che mai si vorrebbe
perdere tra le fila degli oppositori, facile gridare alla dittatura,
facile gridare agli allarmi antidemocratici. Come da tradizione
conservatrice: di cui Benigni ha fatto parte, è bene dirlo per onore
della verità, fino all'altro ieri, quando al potere c'era Silvio
Berlusconi.