Copertina

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A Walt Disney Silly Symphony!

martedì 30 settembre 2014

Una condanna di verità

Godo non poco, sono costretto ad ammetterlo. In un Paese normale (script ormai popolare per tirare acqua al proprio mulino, da noi) la magistratura non avrebbe colore, non prenderebbe decisioni politiche sotto l'egida della giustizia e non sarebbe costituita in organizzazioni ufficiali politicamente schierate, caro Luigi De Magistris.
Questo indipendentemente dal fatto che questa volta la condanna sia toccata a lei, che proviene dalla cultura politica più affiliata al CSM. 
Un piagnisteo e una protesta che non mi pare abbia mai tirato fuori quando ad essere condannati erano i soliti. Almeno Del Turco - che è un Signore, a differenza sua - ebbe la dignità di ammettere, in quanto altra vittima illustre delle toghe mafiose, che un problema esistesse e che, forse, tutte le miriadi di processi a senso unico potevano anche essere frutto di mala fede, senza escludere nessuna possibilità ma rilevando stranezze che sarebbe possibile ignorare in un "Paese civile".  Lei non è riuscito a fare neppure questo. Le dirò di più, mi avrebbe fatto infinitamente più piacere se la condanna fosse stata ingiusta, è giunta l'ora di affrontare il problema da parte di tutti, alcuni non possono più permettersi di fare gli splendidi con il posteriore degli altri. Grazie.


lunedì 29 settembre 2014

Le fandonie dei conservatori

Il signor Massimo D'Alema ha avuto il coraggio, oggi in direzione del PD, di affermare che "l'abolizione dell'articolo 18 non è nulla di epocale ma solo uno slogan, c'è una riforma fatta già due anni fa".
Pure avendo il coraggio di fare lo schizzinoso guardando Renzi e dicendo, col solito atteggiamento superiore: "Evitiamo certe sciocchezze, perchè qualcuno che può smentirle c'è. Oltretutto, prima di dirle, sarebbe il caso di studiarle".
Che ghigno, che uomo. Un vero saggio, criticato da anni a sinistra ma - ci potete scommettere -da qualche mese a questa parte il nuovo paladino del lavoro, della giustizia e (mettiamocelo perchè fa sempre comodo) della Costituzione Democratica nata dalla Resistenza.
Peccato che stia spacciando una legge sovrapposta (una cosa che si fa, appunto, da 50 anni) per intervento riformatore.

La tattica dei conservatori, insomma, è sempre la stessa. Una leggina trasversale, negativa anche per questo motivo, viene fatta passare per riforma. E via con i luoghi comuni e gli strumenti dialettici per mantenere lo status quo tra i quali non può mancare lo scriptatissimo "in un Paese civile". Che tristezza, la cosa peggiore è che qualche adepto pronto ad accogliere il suo messaggio non mancherà mai.

E non parliamo di quell'altro energumeno di Pier Luigi Bersani, che con le solite frasi fatte riprende le buffonate del collega bolscevico, ma poi fa - forse - pure di peggio.
"La Germania ce l'ha l'articolo 18".
A parte il linguaggio (tecnico grosso modo quanto il mio quando parlo di componentistica hardware), non ha avuto il coraggio di dire che ce l'hanno gli Stati Uniti, l'Inghilterra, praticamente il 99,9% degli Stati ad economia di mercato. Basta individuare una tutela dei lavoratori (praticamente scontata pure nei sistemi occidentali più duri) ed ecco che il gioco di Bersani è fatto.
Continue, sorprendenti, fantasiose strategie dialettiche prendendosi gioco della gente che ascolta.

Forza Renzi, ora più che mai. Non ho idea di quanto sia genuino ma lo è sicuramente di più di questi ipocriti.

sabato 27 settembre 2014

Matteo Renzi, chi è costui?

Il signor Matteo Renzi ha un'anima politica, più volte dichiarata, che vuole applicare lo Ius Soli in Italia, una roba per me inconcepibile ( un po' meno la "sintesi" Ius Culturae da lui specificata).
Il signor Renzi vorrebbe introdurre la meritocrazia totale nella progressione degli stipendi pubblici escludendo del tutto l'anzianità, un estremismo che non accetto (riterrei ben più giusto sintetizzare le due componenti).
Il signor Renzi si è schierato contro il finanziamento pubblico ai partiti, un altro punto che personalmente non avrei mai sostenuto.
Il signor Renzi, se è fortunato, con tutta probabilità eliminerà le province: una norma che probabilmente costerà di più rispetto a quello che si sarebbe dovuto fare, ossia tagliare i ponti con le orride regioni e con le loro incongruenze storiche.
Il signor Renzi a me personalmente non ha sgravato alcuna tassa, nonostante ne abbia più di una necessità.
Il signor Renzi, checchè ne dicano i sinistroidi, è eccome di sinistra, e lo dimostra con queste tendenze.

Eppure, nonostante questo, spero che vada avanti e realizzi i suoi programmi, includendo ovviamente anche ciò che approvo. Perchè, dunque, supporto Matteo Renzi?
Non tanto per la riforma del Senato (un buon inizio infinitesimale rispetto a tutto quello che si dovrebbe fare), non tanto per una riforma del lavoro che sarebbe un miracolo, non tanto per lo sblocco dei soldi della pubblica amministrazione, non tanto perfino per la possibile rinegoziazione di qualche parametro di Bruxelles o per 80 euro che possono fare schifo a tanti fenomeni ma sono stati una bella iniezione anzitutto di fiducia in milioni di italiani.

Lo supporto prima di tutto perchè sta disperatamente tentando di trasformare una forza conservatrice, quale è a tutti gli effeti la Sinistra italiana, in riformatrice. Poi perchè rifiuto categoricamente questa logica corporativista ostile a qualsiasi norma non sia enormemente favorevole ai propri interessi o alle proprie idee politiche: direi che sarebbe ora di finirla e spero che altri italiani lo capiscano andando avanti (non sono del tutto pessimista, quando il pane comincia a mancare viene meno voglia di fare gli schizzinosi).
C'è un altro motivo di fondo, e risiede nel fatto che Renzi sia stato uno dei pochi a rifiutare categoricamente il disfattismo tipicamente italico, tanto contento di autocriticarsi come se il proprio Paese fosse il punto più basso di tutto il mondo e mai attento le volte che riesce ad eccellere. Lo avrà anche fatto a parole, non me ne frega niente: altri non partono nemmeno da quelle.

Sono cose che mi hanno stancato, secondo me le basi filosofiche di gran parte delle nostre disgrazie: non m'illudo che s'interrompano, ma spero con tutto il mio cuore che personaggi futuri abbiano la personalità per combatterle o quanto meno per rendere loro la vita difficile.

martedì 23 settembre 2014

Un uomo specchio di un mondo vecchio

Bersani a diMartedì  :

  1. "Bisogna correre PERO' bisogna andare nella direzione giusta".
    E chi la stabilisce questa direzione? TU? Landini? Lo stesso Renzi? Quanto tempo bisogna perdere prima di stabilirlo? L'utopia, le frasi fatte, l'assenza TOTALE di pragmatismo.
  2. "Renzi non ascolta consigli, forse dovrebbe farlo, qualche anno di esperienza noi ce l'avremo".
    Quali BRILLANTISSIMI risultati ha portato la TUA esperienza in 30 anni di politica? Solo stallo, opposizione SISTEMATICA a tutte le proposte di riforma fatte in questo Paese, conservatorismo.

Come al solito Paolo Mieli ha centrato il punto in modo semplice e linerare, intervenuto la scorsa settimana da Floris: la verità è che nessuno è disposto a spostare mezzo centimetro dei suoi interessi o delle proprie posizioni in favore della collettività. Nessuno. Non sto con queste persone. E lo dico pur non condividendo buona parte delle proposte del Presidente del Consiglio.

Una Donna vera? Potrebbe darsi, la vita è infinitamente sorprendente.

 "Finora ho visto che il ruolo di mio padre viene sottovalutato dalla società rispetto a quello di mia madre, sebbene da piccola avessi bisogno di lui tanto quanto di lei. Ho visto giovani ragazzi che soffrono di disturbi psichici e che non riescono a chiedere aiuto, per paura che questo li faccia sembrare meno 'uomini'. Nel Regno Unito i suicidi sono la principale causa di morte per gli uomini dai 20 ai 49 anni: più delle morti per incidente, cancro o malattie cardiache. Ho visto uomini resi fragili e insicuri per colpa del senso distorto della definizione di uomo di successo. Nemmeno gli uomini godono della parità di genere.”

Massimo rispetto per questa Donna, una che non stereotipizza il suo ruolo essendo pure convinta di esserne immune. Non la conosco personalmente e magari è una pagliaccia, ma la riflessione è di ALTISSIMO profilo. Chapeu. Grazie Emma.

Un meraviglioso messaggio di speranza







venerdì 19 settembre 2014

Ci siamo?

Renzi morirà di atroci sofferente tra la falce del CGIL e il martello della magistratura, sta rischiando veramente grosso. Massimo rispetto e contro tutte le mafie spacciate per paladini della legalità.

Del resto, i signorotti della magistratura hanno già inviato la testa di cavallo nel letto del Premier, stanno partendo piano, piano, c'è tutto il tempo di erodere, con calma, e imporre il diktat subdolo.

In buona sostanza, sì. L'URSS è sopravvissuta al 1984

Andreij Amalrik non è stato un semplice scrittore: l’ autore del famoso saggio Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?, che ho avuto il piacere di leggere, evidenzia tratti di lucidità analitica poco comuni nel mondo letterario, tra le sue righe si scorgono gli intenti di un critico, difficilmente identificabile come un oppositore al regime comunista o quale sostenitore dell’introduzione del libero mercato. Il motivo è presto detto: Amalrik, nato nel 1938, apparteneva a quella generazione cresciuta in toto nel contesto dell’educazione sovietica e delle propagande di regime, per non parlare della totale chiusura verso l’esterno, fattore che influenzò sicuramente coloro che vivevano all’interno del sistema. Come sottolinea molto bene Carlo Bo nella prefazione, Amalrik analizza semplicemente ciò che è sotto il proprio naso, non esprime neanche dei veri e propri giudizi, a ben vedere: descrittivo, parla dei motivi per i quali il socialismo sovietico in cui è cresciuto sarà destinato, a suo giudizio, a morire. Non propone modelli alternativi, (non ne può concepire, se non di anacronistici) non si lancia in una campagna anti-sovietica tanto facile quanto sterile.
Quando lessi questo testo, bramavo di curiosità, per una serie di ragioni.
Sicuramente il titolo ha il suo richiamo, da solo è sufficiente a catturare l’attenzione di qualsiasi lettore, anche non strettamente interessato alla storia, ma ci sono altri fattori. Per dirne una, ero davvero curioso di vedere come in un testo di appena 110 pagine si potessero mettere a fuoco tutti i motivi che avrebbero condotto, dal 1969 (periodo della stesura) ai quindici anni successivi, un vero e proprio gigante come l’URSS a crollare miseramente, in un’ epoca in cui nessun osservatore occidentale lo avrebbe pensato minimamente.
Amalrik, incredibilmente, ci riesce: erra, com’è ovvio, sull’anno del crollo del gigante socialista, ma non gliene si può fare un torto.
L’impero sovietico sopravviverà sì al 1984, ma basteranno appena sette anni affinchè la visione di Amalrik si concretizzi quasi appieno. Il quasi, grande come una casa, è qui presente perché nel corso del testo, l’autore si focalizza su un pronostico quasi ossessivo, un evento a suo giudizio inevitabile, che avrebbe dovuto generare tutto ciò che poi in realtà furono le riforme di Gorbaciòv a causare in maniera ben più tuonante: una supposta guerra con la Cina, il cui scoppio non avrebbe potuto protrarsi oltre una decina d’anni.
A prescindere dal fatto che tale evento non si sia verificato, è interessante leggere i motivi che Amalrik adduce per giustificare una tale conclusione. Preparando il terreno per un conflitto, egli in realtà sottolinea meglio di chiunque altro i motivi che avrebbero spinto Pechino al conflitto con Mosca. Tracciando un quadro superficiale della situazione internazionale di allora, le due principali potenze facevano capo, come tutti sanno, a Washington e alla capitale russa. La Cina, pur temibile, era considerata un gradino al di sotto, soprattutto nel campo militare, dove la produzione di armamenti non raggiungeva minimamente le vette dell’Unione Sovietica, e di conseguenza poteva tutto meno che scontrarsi con lo strapotere americano.
Qualche osservatore poco attento dell’epoca, avrebbe sostenuto che l’ostilità che Mao, gradualmente ma inesorabilmente, dimostrò all’URSS dal 1949 in poi, fosse frutto di una questione puramente ideologica, quella del “revisionismo sovietico” traditore dell’ortodossia marxista, oltre che dal “semplice” desiderio di conquistare il predominio nel campo socialista. Amalrik smentisce con molta schiettezza questa leggenda metropolitana (ma potremmo quasi definirla "leggenda dialettica"): Pechino desiderava semplicemente un salto di qualità del proprio status internazionale, era logico che questo non potesse avvenire ai danni degli Stati Uniti, in primis per la posizione geografica (troppo distante dagli USA per poter pensare di sconfiggerli con le proprie forze) e in secondo luogo per il naturale interesse che i cinesi avrebbero nutrito per le immense distese orientali dell’ ex-impero russo, in quanto foriere di espansione territoriale nonché di insediamento demografico per un paese che, già allora, contava 800 milioni di individui. Pertanto, mascherando i reali obiettivi in nome dell’internazionalismo socialista, Mao propose a Stalin di unificare i due stati, al fine di ottenere una supremazia che, alla luce della nettissima maggioranza dei cinesi, sarebbe stata scontata, come scontata fu la risposta negativa del leader sovietico. E’ notevole l’acume dell’autore in questo frangente: il ragionamento non fa una grinza, così come tutte le considerazioni politiche pienamente in linea con quella che era la situazione internazionale alla fine degli anni ’60. Perché, quindi, la previsione di Amalrik non si verifica?
Fondamentalmente, egli non mette in conto (né avrebbe potuto farlo, ovviamente) due eventi che si riveleranno decisivi per smentirlo. Il primo è costituito dalla morte di Mao: non potendo intuire gli osservatori esterni quanto il regime cinese costituisse una struttura a sé stante e quanto essa invece dipendesse dalla personalità del proprio capo, non si sarebbero potuti fare una ragionevole opinione della politica che avrebbero attuato i successori di Tse Tung. Il regime cinese avrebbe dimostrato di poter costituire una struttura solida, ma fortemente indebolita ideologicamente dalla scomparsa del suo capo, nel 1976. Il che ci conduce direttamente al secondo evento, ancora più imprevedibile del primo: l’inizio di una liberalizzazione economica della Cina (pur graduale e molto lenta, almeno da principio). E’ chiaro che un’operazione del genere allontanò progressivamente il regime di Pechino da una diretta competizione militare con l’URSS, concentrandosi anzitutto su un progetto di sviluppo economico e consolidamento interno che sarebbe proseguito con ancor maggiore decisione nei decenni successivi, fino ai giorni nostri. Un terzo e opzionale fattore potrebbe trovarsi nell’invasione sovietica in Afghanistan, sul quale si concentrarono le immense risorse militari disposte dal Cremlino. Mi pare però, francamente, meno influente rispetto ai primi due, per un semplice motivo: sebbene Amalrik affermi che sarebbe stata la Cina a provocare e l’URSS ad offendere, è plausibile che quest’ultima, ove si fosse concretata una possibilità di scontro, avrebbe volentieri sacrificato l’acquisizione politica in Asia centrale per dare la priorità assoluta alla difesa della supremazia nord-orientale, a lungo contrastata dai cinesi.
Un errore di fondo invece è costituito dalle conclusioni eccessivamente differenziate che egli trae dall’analisi del dissenso interno. L’epoca in cui scrive testimonia come, pur in maniera sempre blanda ed estremamente graduale, il regime di Mosca avesse allentato le briglie della repressione, per lo meno rispetto all’epoca stalinista.
Ha ragione Amalrik quando analizza le ragioni sociali di questo cambiamento, come il consolidamento di una folta schiera di professionisti formati dal regime, il maggiore livello intellettuale della “classe media” come egli definisce proprio quella dei tecnici (destinata inevitabilmente a crescere e ad assumere posizioni di sempre maggiore rilievo nella società sovietica,  costringendo il regime a posizioni sempre più blande).
Riflette forse meno, invece, quando esclude che una crescita possa verificarsi anche nel regime pechinese, spingendo, in qualche modo, il governo alla liberalizzazione e al progressivo allontanamento da una competizione strettamente militare con Mosca: non solo questo avvenne, ma le estreme gradualità e attenzione permisero alla Repubblica Popolare di sopravvivere, a differenza dell’URSS. Ciò detto, è chiaro che la svolta economica del regime di Pechino non esaurisce il novero delle proprie cause esclusivamente nella morte del suo leader, avendo esso origini piuttosto eterogenee che non è il caso di approfondire in questa sede.
Clamorosa poi la cronaca anticipata degli eventi che avrebbero scombussolato l’Europa appena due decenni dopo. Amalrik li descrive quasi tutti: dal crollo a catena degli stati del Patto di Varsavia al rafforzamento dei dissensi interni, dai fronti popolari all’indipendentismo delle Repubbliche Baltiche e di altri stati inclusi nella Federazione sovietica,. La differenza con quella che è stata poi la realtà sta nel modo in cui tutto ciò sia avvenuto: almeno in questo senso, si può dire che l’autore sopravvaluti decisamente le possibilità dell’URSS (fatto che non deve certo sorprendere, considerando che non aveva metri di paragone: del resto, era egli stesso vittima della mendacia delle fonti ufficiali), al punto da ritenere che solo un conflitto di dimensioni piuttosto grosse avrebbe fatto in modo che le numerose inefficienze strutturali dello stato socialista diventassero incapaci di riprodursi. E’ poi plausibile ritenere che un conflitto armato (dalle conseguenze incalcolabili) avrebbe condotto Mosca sul lastrico e il regime a tirare le cuoia, ma si tratta soltanto di una supposizione.
Ovviamente, le valutazioni degli esperti dell’epoca sono un’ attenuante per Amalrik: la forza del regime di Mosca fu sopravvalutata da tutti, anzi in questo senso l’autore rappresenta uno dei pochissimi che sia stato in grado di prevederne la scomparsa prematura. Il lato affascinante del libretto è proprio questo.

mercoledì 17 settembre 2014

L'enigma della vita e l'ennesimo test sulla sua imprevedibilità

Può qualcuno che non ha mai apprezzato Halo interessarsi a un prodotto griffato Bungie (verso la quale non ho mai negato di nutrire un certo rispetto) basato su elementi simili ma introdotti in una componente esplorativa da MMORPG? Vedremo, dopo stasera avrò le idee più chiare. La curiosità è tanta.


martedì 16 settembre 2014

E se non va, non funziona, ma se questo, ma se quello! ....e se arrivassero gli alieni?

C'è il solito gran rumore nella politica italiana. Un rumore dopo che, per trent'anni, si definiva reazionario chi, all'inizio degli anni Ottanta, si era "permesso" di dire che la Costituzione Italiana "forse" aveva qualcosa che non andava
Siamo nel 2014 e, dopo resistenze pluridecennali, quelli che non vogliono cambiarla continuano a resistere, in modo più timido e forse anche un po' inconsciamente vergognato, ma stavolta non c'è il boom economico a nascondere le inefficienze di una legge fondamentale che non ha mai - sottolineo mai - svolto il suo compito con regolarità. I numeri parlano chiaro, in sessantasei anni solo tre uomini hanno governato più di tre anni, nessuno ha mai completato per intero una legislatura. 
La paura della miseria, o comunque di un forte ridimensionamento delle proprie possibilità e dei propri comfort, è la migliore arma che può avere un Matteo Renzi che è al momento cruciale della sua esperienza, praticamente ostacolato da tutti nella piena dimostrazione che a livello globale questo Paese non lo vuole cambiare nessuno.
Pieno supporto al Premier: anche se dovesse essere genuino un decimo di quanto dice, sarebbe comunque oro colato rispetto a tutta la marmaglia di ipocriti che popolano il Parlamento. Sì, il parlamento, perchè solo con loro ce la si può prendere, basta con i vecchi discorsi che "lo Stato siamo noi" e menate varie: una persona comune non è in grado di capire quanto il suo sacrificio possa tornargli se fatto insieme ad altri che vogliono restare immobili almeno quanto lui. Non sono questi i responsabili.
Senza contare quanto le materie del contendere per ora siano davvero misere: una minuta legge elettorale e un Senato meno ingombrante. Praticamente un centesimo di quello che si dovrebbe fare per modificare la carcassa costituzionale.


E si torna nella magione, anche se non esiste più

Potrei parlare per giorni e settimane di Resident Evil, per questo primo post mi limito a dire che sto finalmente, da appassionato della serie, giocando il sesto capitolo della saga in enorme ritardo rispetto alla release ufficiale datata ben oltre un anno fa (il tempo, con l'età, diventa tiranno per tutti). Un capitolo, per chi è informato, bersagliato da critica e giocatori, compresi amici con cui ho avuto modo di parlare.
E' nota la svolta action della serie con il quarto capitolo per Gamecube, comprensibile il fastidio che ebbero molti fan nel perdere la tensione dei vecchi capitoli, meno l'esaltazione inspiegabile che alcuni di loro rivolsero al quinto capitolo, ossia il predecessore di quest'ultimo. Poco ispirato in tutto, l'unica cosa bella era il cooperative e giocando con un amico indubbiamente filava abbastanza liscio, ma i livelli di per sè erano belli che noiosi.
Questo tanto bistrattato sesto capitolo non è lo stato dell'arte, le leggende del 4 sono lontane, però devo dire che tutta questa mediocrità non la noto. Anzi, come design qualcosa di interessante si vede pure. Non penso che lo finirò, l'ho recuperato a pochi spicci in offerta (altrimenti confesso che non so quando ci avrei speso mezzo centesimo), ma sicuramente la curiosità di andare avanti non manca.