Copertina

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A Walt Disney Silly Symphony!

giovedì 30 ottobre 2014

"Metodo" di sciopero?

Credo che il titolo sia necessario per instradare l'analisi su un dibattito completamente ignorato e represso a livello sociale. 
Andiamo rapidi al punto: un diritto è qualcosa che viene concesso inderogabilmente all'individuo o è posseduto a prescindere dall'individuo stesso, per il solo fatto per la sua esistenza. 
Di conseguenza sono diritti a prescindere la parola, la libertà di espressione, la salute, il cibo e la dimora (che nella nostra società vengono trasformati in "lavoro" essenziale per il sostentamento) e via discorrendo.
Se ci concentriamo sul binomio che porta al lavoro essenziale al nostro sostentamento, arriviamo, senza fare chissà quale scoperta, all'ovvia considerazione che sia esso a "generare" il diritto di sciopero. Si sciopera per ottenere un contratto adeguato al costo della vita, per protestare contro un ridimensionamento aziendale.

Come si inserisce in questo ambito il concetto di "sciopero"? E' possibile chiamarlo "diritto" o piuttosto si tratta una tutela sociale? Il problema non viene mai affrontato, ma c'è una differenza enorme tra le due, e da un punto di vista logico, considerato l'iter che abbiamo appena espresso, è difficile non qualificarlo nella seconda categoria.
Insomma, l'obiettivo dello sciopero non è lo sciopero in quanto tale come tutti i diritti elencati sopra, ma la risoluzione di una controversia contrattuale per favorire un diritto, sì primario, al cibo-dimora-lavoro. Di conseguenza è da considerarsi metodo, non diritto.
Arriviamo al nocciolo della questione. Lo sciopero è l'unico metodo possibile per risolvere le controversie contrattuali? E per quale motivo?
Come sappiamo, gli scioperanti si affidano, nella società moderno-contemporanea, ai sindacati. Ma questi ultimi non sono altro che meri rappresentanti, e non è scritto da nessuna parte che debbano difendere i lavoratori nel modo che, semplicemente, ha avuto successo nell'ultimo secolo e mezzo. 

Un successo, per di più, dovuto a circostanze storiche eminentemente contestuali, come il rapporto padroni-lavoratori nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale che (non si capisce il motivo) è stato considerato trascendente il tempo e i numerosi cambiamenti che sono avvenuti in questi due secoli: su tutti, il tenore di vita dei lavoratori nei paesi sviluppati e la conquista di tutti i requisiti minimi di vita dignitosa. Cose che agli inizi dell' 800 erano impensabili, in un periodo in cui i lavoratori morivano anche di fame, oltre che di stenti e malattie. E che, insisto, non era detto assolutamente potessero essere disciplinate solo con lo sciopero, anche se, con onestà intellettuale, occorre ammettere che in quel periodo la rappresentanza democratica non era sviluppata come adesso e che quindi una presa di potere (pur in gran parte teorica) da parte dei lavoratori poteva essere considerata uno strumento utile.
Come di fatto è stato: chi scrive ci tiene a ribadire, oltre alla sua critica ferma, anche l'utilità storica assoluta avuta dallo sciopero nei primi passi dell'era contemporanea.

Arriviamo ad un altro step fondamentale della nostra analisi, banale quanto si vuole ma necessario per arrivare a una conclusione: l'obiettivo non è scioperare, ma tutelare i lavoratori e i loro diritti, possibilmente non bloccando una società basata eminentemente sul lavoro che, in momenti di crisi, può pagare ancora di più a caro prezzo il "metodo".

Con cosa potrebbe essere sostituto il metodo di sciopero? Per rispondere è necessaria un'ulteriore analisi di quello che è un altro dogma indissolubile della modernità: la separazione dei tre poteri enunciata da Charles Louis de Secondat Barone di Montesquieu nell'ormai leggendario Espirit de Lois, opera di valore politologico inestimabile nonchè fondamento della democrazia moderna. La separazione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario era, nelle intenzioni dell'autore, un altro metodo, indubbiamente efficace per strutturare le future società democratiche.
Un metodo che viene considerato praticamente aprioristico da chiunque oggi parli di democrazia. Concentriamoci sul potere giudiziario. Un dogma della nostra Costituzione (come di tutte le leggi fondamentali occidentali)  è "la magistratura è indipendente". Un punto sul quale mi sono sempre espresso in modo molto critico, perchè considerato dalla maggior parte dei suoi sostenitori come alieno dalle imperfezioni dell'esistenza, degli uomini, della loro corruttibilità: si può sostenere un regime che tenda a rafforzare l'indipendenza dei poteri, ma non affermare il loro distaccamento reciproco e a prescindere, come - teologicamente, in una società che non fa altro che criticare il pensiero di matrice cattolica - si fa sempre. Archiviata la critica, c'è da dire che è assolutamente necessario strutturare la magistratura come indipendente.

Torniamo al tema principale per giungere, finalmente, alla nostra conclusione: per quale motivo non è possibile disciplinare i rapporti contrattuali tra lavoratori e imprenditori, così come la loro logica concertazione, attraverso un tribunale indipendente che decida secondo legge e parametri oggettivi inerenti la vita di tutti i giorni?
Perchè i nuovi sindacati non potrebbero essere i rappresentanti legali dei lavoratori che possano esporre le loro tesi di fronte a una giuria contrapponendole ai "difensori" degli imprenditori in un aula regolare? 

I dogmatici della separazione dei poteri, come detto, credono fermamente nell'indipendenza della magistratura: non potrebbero farlo ugualmente con una nuova istituzione creata appositamente per decidere in materia di lavoro, senza bloccare nessuna attività lavorativa e raggiungendo conclusioni il più possibile oggettive?

Si torna all'incipit per la nostra chiusura: lo sciopero non è come la salute, la vita e il sostentamento. Nasce per preservarle. Non è impossibile pensare a un altro metodo che le difenda in modo, forse, più sostenibile e meno distruttivo.
Ma se ne parlerà quando, probabilmente, la mia generazione sarà già diventata polvere.
La questione è in ogni caso impossibile da eludere nel lungo periodo.

venerdì 24 ottobre 2014

Ecco perchè le speranze dei riformisti di destra saranno sempre a sinistra

Almeno fino ad un cambiamento storico-culturale di impatto notevole, è chiaro.
Il dibattito è sempre lo stesso: Renzi è di "Sinistra" o di "Destra"? E' un traditore? Rinnega i "valori storici"? E' un approfittatore o un sincero idealista? Tutta forma e niente sostanza? Varie ed eventuali.
Sembra un approfondimento delle critiche al vecchio Massimo D'Alema quando "doveva dire qualcosa di sinistra". 
Sgombro il campo da subito e dico che Renzi ha capito meglio di chiunque altro un fatto evidente: che l'unica riforma possibile del "sistema Paese Italia" passa attraverso un cambiamento culturale della sinistra. Come mai? Com'è possibile che una forza da sempre minoritaria (seppur fortissima e riguardante circa il 30% della popolazione italiana) possa essere custode del destino di un Paese?

Per rispondere è necessario fare un po' di storia. Anzitutto premettendo che, dalle origini, la Sinistra italiana ha sviluppato tendenze più estreme rispetto alle altre sinistre occidentali, quelle al di fuori del blocco sovietico per intenderci. 
Escludendo i democratici americani che dal nostro punto di vista potrebbero non essere considerati neanche Sinistra (anche se tutto è relativo e gli schieramenti hanno cambiato definizione 4 volte negli ultimi due secoli), l'unico esempio in Europa abbastanza simile è il Partito Comunista Francese, non solo per la forza elettorale assolutamente paragonabile, ma anche per storia e "decorso storico", fatto di totale appoggio alla politica sovietica nei primi tre decenni post-bellici, per poi allontanarsi e appoggiare la "svolta" (vera o presunta che fosse non possiamo saperlo) dell'Eurocomunismo che riceveva ancora finanziamenti sovietici. Le altre sinistre, in qualche modo, hanno attinto al comunismo ortodosso almeno quanto al laburismo di stampo tipicamente britannico o alla socialdemocrazia scandinava, ossia culture sicuramente opposte alla destra finanziaria (e parzialmente affini alla destra sociale di stampo fascista) ma ben lontane dai concetti dell'ideologia originaria.

La "Sinistra" va dunque distinta dall' "ex-Comunismo" che comunismo non solo non è, ma ne è l'espressione più lontana e l'aperta contraddizione da almeno 20 anni. Ciònonostante, qualche eredità esiste, più che altro nell'approccio e nel modo in cui è stato sfruttato dal capitale occidentale per "prendersi" forze un tempo ad esso ostili. Questi approcci e metodi sono attualizzati in vari modi, tutti venuti fuori dopo il 1989: la tendenza a sostituire l'ideale statalista assoluto con una altrettanto assoluta fiscalità, la sostituzione degli ideali internazionalisti proletari con quelli europeisti e globalizzatori senza eccezioni, la propensione a sposare le teorie economiche bancarie mondiali e la corsa alla privatizzazione forsennata.

Il Comunismo italiano venne sconfitto nella guerra civile dal Fascismo che si impose dal 1922 in poi, prendendosi la rivincita 20 anni dopo, non avendo però mezzi e possibilità per imporsi in un Paese che, di fatto, era già finito nella sfera occidentale.
Il resto si può sintetizzare con un sistema capitalistico mondiale che, nonostante numerosi difetti, si dimostrava adattabile alla realtà ben più del blocco sovietico, costretto spesso a manovre di "terrore" e autoritarismo interni, e soprattutto all'investimento "culturale-strutturale" per provare a guadagnare consenso nei Paesi oltrecortina. Chiaramente, i governi autoritari esistono dalle origini del mondo e non sono certamente queste caratteristiche a costituire motivo di critica del socialismo reale.

Torando all' "investimento": nel nostro Paese, dove ha vissuto il Partito Comunista più forte dell'Occidente, non poteva che essere massiccio, ben più profondo di quello, esclusivamente finanziario, operato dagli Stati Uniti verso i partiti anticomunisti (DC, PRI, MSI, e successivamente PSI).

Si creavano, dunque, miriadi circoli culturali, si formavano uomini di partito, si puntatava ad entrare nelle istituzioni (magistratura e Corte Costituzionale, forti di aver preso parte alle assemblee che generarono la nostra carta), a dare sostegno ai sindacati che poi sarebbero diventati di maggiore importanza, ma soprattutto si ottenne da subito, grazie all'appoggio di editori importanti come Mondadori e soprattutto di Feltrinelli, una forte diffusione bibliografica e scolastica.
Poi, certo, arriva il Sessantotto e la sinistra inizia la sua corruzione interna. Va però ricordato che appoggiare la rivoluzione sessuale, la fine delle nazioni e la nascente globalizzazione sono state azioni a tutto vantaggio della ulteriore popolarità della parte politica di per sé, indipendentemente da quanto fosse antisistemica o meno. Negli ultimi 50 anni l'etica, la giustizia e la moralità hanno assunto valori non più coincidenti con le vecchie idee cattoliche ma identificate in modo pressochè totale con la cultura proveniente dalla "Nuova Sinistra", per dirla alla Pasolini. Un'etica che per certi versi è diventata mondiale, per altri ha prosperato anche nel paese sede del Vaticano.

Cosa se ne ricava in termini attuali? Che la Sinistra, pur non essendo, come si scriveva in sede introduttiva, una maggioranza storica di questo Paese, è consolidata a tutti gli effetti come minoranza "forte", custode del sentire comune di morale, etica e anche di qualcosa di strutturale ormai parecchio radicato ed ereditato a piene mani dal defunto PCI.

Non è un caso che le principali riforme tentate negli ultimi trent'anni siano fallite in gran parte per l'opposizione delle forze di sinistra , partendo dalla prima bicamerale per arrivare alla bocciatura della riforma costituzionale del 2005, con la quale in un solo colpo gli italiani votarono contro riduzione dei parlamentari, federalismo, riforma del senato e costi minori per la politica. L'unica grande eccezione,  la bicamerale D'Alema del 1997, naufragata a causa di Berlusconi.

Non è nemmeno un caso che le uniche riforme "riuscite" siano state promosse proprio dalla "sinistra", ossia l'abbandono dell'energia nucleare nel 1988 (e la conferma di quella decisione pochi anni fa) e la ancora più sciagurata riforma "federalista" del 2001 della quale lo stesso Matteo Renzi sta oggi pagando lo scotto nella debàcle quotidiana con le regioni.

Non credo che l'attuale Presidente del Consiglio sia ignaro di queste dinamiche, e secondo me influisce eccome nella sua scelta la volontà di mantenere l'azione della Leopolda e di restare nel campo della Sinistra italiana. Chissà, magari non gli sarebbe convenuto svoltare a destra, ed è possibile che a muoverlo siano soprattutto considerazioni pragmatiche anzichè idealistiche, non leggiamo nel pensiero.

Con certezza si recepisce solo che il "vantaggio etico-morale" è evidente, nonostante dall'interno si muovano le solite voci critiche che, diciamolo francamente, sarebbero ben maggiori se Matteo Renzi si trovasse nell'opposto schieramento politico (forse anche dal punto di vista "legalitario", diciamo anche questo).
La "minoranza forte" è quella che va riformata per riformare l'Italia, da Destra non esistono speranze. Troppi i vantaggi storici accumulati da uno schieramento sull'altro negli ultimi 70 anni.

E Matteo Renzi lo sa.

lunedì 20 ottobre 2014

Un minimo di senso logico dietro una filosofia insostenibile

Questo è lo Ius Soli "cammuffato" proposto da Renzi: siamo sicuramente su un piano migliore di quello originale di matrice statunitense, se non altro richiede che la qualifica di cittadino italiano sia sudata e maturata com'è giusto che sia.
Ma non si può non sottolineare come la norma sia filosoficamente affine alle migrazioni di massa, ossia questioni che, ove verificatesi nella storia, hanno portato nei periodi più anitchi guerre e carestie, nei più moderni criminalità organizzata, tensioni etniche e sovraffollamento di talune aree del nostro pianeta. Il che oggi è reso ancora più grave, visto che non ci troviamo in una fase di crisi demografica, ma anzi, siamo affollati da oltre 7 miliardi di abitanti.
Elementi inaccettabili sotto ogni profilo: etico, patriottico, identitario, economico, ecologico, differentemente dai movimenti migratori volontari che difatti non sono mai stati materia di discussione e mai origine di nessun problema.
I movimenti migratori di massa del passato hanno sempre creato enormi problemi e prodotto crimini inenarrabili: le poche eccezioni che ci sono state riguardano - nemmeno in modo troppo esaustivo - le aree di colonizzazione degli Stati Uniti e del Sudamerica, in cui la densità di popolazione era così bassa da necessitare addirittura un popolamento, concretato nei "regali" della terra nelle famose corse risalenti all '800. E, nonostante queste caratteristiche del tutto peculiari (ancora in parte sussistenti e con le quali l'Europa non ha nulla a che fare), perfino Washington ha prodotto tre leggi di stop all'immigrazione tra fine '800 e prima metà del '900, per poi stabilizzare una lotta all'illegalità oggi ancora presente soprattutto nelle scarse concessioni dei visti lavorativi.
Fanno sorridere amaramente le parole di chi continua a lanciare slogan di emulazione verso "l'esempio americano", frasi populiste che non svelano minimamente la differenza abissale che passa tra il nostro Paese (Continente) e il loro. 
Come fa sorridere il pensiero di chi si appella al "Dio" Unione Europea per giustificare una politica sempre più deregolamentata, richiamando la libera circolazione dei lavoratori.
Non serve a molto spiegargli che l'UE non è Dio ma un'associazione di uomini che può sbagliare, non serve a molto ricordargli che, comunque la si pensi sul principio, l'UE ha comunque garantito libertà di circolazione per individui dalle condizioni economico-sociali un minimo paragonabili.
Ma quello che fa più impressione è che non serve nemmeno fargli notare che in Europa, proprio in virtù di economie tutto sommato simili, lo stesso principio non provoca migrazioni di massa ma esclusivamente volontarie, a riprova del fatto che la migrazione di massa, oltre ad essere immorale ed economicamente insostenibile, è anche innaturale, come dimostra la storia di, praticamente, tutte lecomunità mondiali, non solo quella italiana.
Si emigra per necessità, non perchè si vuole e - soprattutto - i popoli vogliono vivere con i loro simili, da sempre, in una dinamica che non ha nulla di sbagliato. Oggi si sta forzando la natura in direzione contraria per difendere interessi di industriali che importano manodopera a basso costo, sfruttando in maniera facile l'aspetto umanitario per guadagnare il sostegno dell'opinione pubblica: chi lo spiega ai militanti di sinistra che stanno appoggiando un fenomeno che aggrava enormemente, tra le tante, anche l' ingiustizia sociale contro la quale millantano da sempre?
Non parlo di quanto facciano sorridere quelli che tirano ancora fuori il "jolly" dell'emigrazione italiana storica, non pensando minimamente a quanto questa non sia stata sicuramente sintomo di salute ma, soprattutto, abbia danneggiato enormemente la crescita del Paese e - in particolare - di un Mezzogiorno svuotato di cervelli e capacità, oltre che di operai non qualificati.
Poi certo, gli esempi inappropriati quando si tocca questo tema si moltiplicano: uno di quelli che va più di moda ultimamente è quello dell'Impero Romano che "mescolava razze e culture diverse". Guarda caso anche in questo frangente la memoria è corta (o non si conoscono le cose), visto che le migrazioni interne all'impero erano virtualmente inesistenti. O meglio, riguardavano, ancora una volta, le scelte volontarie: indi le uniche forme di migrazione sostenibili, giuste, difendibili, ancorchè minoritarie.

venerdì 17 ottobre 2014

Questione di pelle


Non sono pretenzioso della novità a tutti i costi, altrimenti smetterei di godermi quasi tutti gli hobby che ho. Capisco, sostengo e mi piace il clichè se ben fatto. Dopo qualche capitolo di The Evil Within, mi sento di dire che chi sosteneva la mancanza dell'elemento pauroso sia abbastanza esagerato. Un po' di carne - non solo metaforica - c'è, e il modo in cui è proposta è tutto fuorchè innocuo.
Non siamo di fronte all'horror raffinato e geniale, quello mi pare ovvio: lo splatter puro viene richiamato praticamente sempre, ma gli elementi validi non mancano.
Design e sfondi, come gli artwork che avevano preceduto l'uscita di Zwei (perchè non è rimasto questo meraviglioso titolo?) assolutamente meravigliosi.
Peccato per quelle bande nere che sono un pugno in un occhio.


domenica 12 ottobre 2014

Resistiamo, compagni!


Momenti di gloria, crescita e sviluppo del nostro Paese, che dire. Sarebbe anche interessante (anzi, si può togliere tranquillamente il condizionale), non fosse che lo scopo sia puramente propagandistico contro la potentissima e tradizionalmente inossidabile "retorica nazionalista italiana", roba nota e temuta in tutto il globo contro la quale si stanno muovendo i principali servizi segreti mondiali, dalla CIA al Foreign Office britannico fino alla Cina. Certe minacce vanno affrontate con la massima serietà, ISIS non sei nessuno.


Voglio il Cinema più grande

Sì, sono l'unico al mondo che di Nuovo Cinema Paradiso apprezza la versione estesa, con quell'aggiunta di mezz'ora malinconica e triste che a mio parere dà grande linfa a tutto il film anche se viene considerata da molti inspiegabilmente troppo didascalica.
E' la versione con cui sono cresciuto, io che il Capolavoro di Tornatore lo vidi su VHS e poi in una seconda visione cinematografica che programmava, appunto, la bobina integrale.
Non che sia un problema assistere ad un taglio che aveva comunque ragione di esistere, ma quello che lascia di sasso è pensare che il film, sbarcato da qualche anno in Blu Ray all'estero, sia arrivato da noi in alta definizione praticamente l'altro ieri. Trattandosi di un film italiano diciamo che la cosa è quantomeno bizzarra.
Meno bizzarro ma addirittura indecente è l'allestimento dell'edizione, con una sola versione del film disponibile (la più corta ed internazionale) zero contenuti speciali e un tristissimo amaray a corredo.
Non sorprende che a scegliere del valore delle nostre perle artistiche siano anche in questo frangente gli stranieri, che dopo aver deciso quando siamo corrotti, quando non siamo normali, quando dobbiamo imitare i loro "modelli" (con la nostra inqualificabile complicità),quando finalmente dobbiamo riformare la nostra arcaica costituzione (che se dipendesse da noi rimarrebbe a vita in quel posto) quando tutto quello che vi pare, decidono anche quando dare un tributo impossibile da evitare ad un capolavoro assoluto della nostra cultura, ed ecco che l'edizione UK del film di Tornatore (in foto) è in cofanetto rilegato, con 2 blu ray, contenuti speciali ed entrambe le versioni del film.
Ma ormai ci siamo abituati, che vogliamo farci?

giovedì 9 ottobre 2014

Il Maestro torna in pista, e io sono in ritardo

Col mastro bolognese sono rimasto a Il figlio più piccolo, eccellente lavoro sociologico con una grande interpretazione di Christian De Sica, che risolleva una serie di sue ultime produzioni non proprio esaltanti sul grande schermo.
Ma la classe non muore mai, e così siamo ancora con Pupi Avati, ancora con spaccati di cultura ed estetica puramente italiane: in sintesi, tutto ciò che amo di più.
Stavolta il Maestro si cimenta in una storia di introspezione e di psicologia. Trailer come al solito che definire accattivante è eufemistico. Ho mancato all'appuntamento con le ultime produzioni, ho notato che però il regista emiliano ha risollevato anche il tono delle produzioni tv con Un matrimonio dello scorso anno (sarei curiosissimo di visionare anche Un bambino cattivo).
Un Avati che negli ultimi anni è andato un po' a corrente alternata, pur non tradendo mai la propria genialità visiva.
Lo spunto di sintesi è come al solito ben confezionato, sarà curioso vedere se Pupi riuscirà a far recitare bene un cane rabbioso come Scamarcio.


mercoledì 8 ottobre 2014

L'indipendenza e l'intraprendenza

Qualità notevoli, dirà qualcuno. Ma la loro importanza in politica è universale o contestuale?
Rifacendosi alla tradizione della destra più fiera e intransigente, sicuramente fondamentale. Ciò che viene criticato all'attuale Presidente del Consiglio è precisamente questo. Non aver alzato la testa di fronte all'Europa e alle sue politiche vessatorie, a differenza della Francia. I soliti autocritici anti-italiani, come da tradizione, ammoniscono:

"come possiamo noi, male di tutta l'umanità, cancro dell'Europa, origine della attuale diffusione dell'Ebola nel mondo [ecc.ecc. nda] permetterci di chiedere flessibilità? Cominciamo prima noi, cancro, male tumore [insulti vari ed eventuali ndr]".
Un atteggiamento ciclico che storicamente ha dimostrato di non produrre nulla, ma qualcuno dovrebbe spiegare a questi signori le ovvietà che troppo spesso dimenticano, ossia che: in primo luogo non siamo il cancro dell'umanità, perchè nonostante la retorica anti-italiana, se questo Paese è arrivato tra i primi industrializzati al mondo e ancora oggi non rappresenta certo una specie di Senegal nel pieno sottosviluppo, qualcosa di buono magari ce l'ha. In secondo luogo che alzare la testa di fronte all'Europa non significa non avere autocritica. Significa, semmai, smetterla di essere unicamente autocritici, che è una cosa ben diversa.

Renzi ha scelto una via di mezzo, tipica dell'italianità con tutto il criticismo che sotto questo profilo si può trovare in essa. Però si sta anche muovendo, e questo gli va riconosciuto. La sua diplomazia sottile, se non altro, ha già trovato l'alleanza francese, e da un punto di vista ben più immacolato, viste le incredibili violazioni che l'Eliseo commette rispetto al patto di stabilità da anni: magari i signori d'oltralpe avessero l'autocritica estrema che esprimiamo noi.
Ha ragione chi dice che Matteo Renzi sia salito alla presidenza del Consiglio con i favori dei poteri forti europei, senza dubbio. Sarebbe stato impossibile per lui anche solo avviare i tentativi che sta perseguendo senza un minimo appoggio massonico. Ma questo non significa necessariamente, come ha sostenuto qualche amico con cui ho dibattuto dell'argomento, che non farà il bene dell'Italia. O che questa iniziale dipendenza non possa trasformarsi in qualcosa di più concreto in futuro.

E, per rendersene conto, basti pensare, in epoche ciascuna diversa dall'altra, quali altri capi di stato nostrani siano stati in grado di affrancarsi da dipendenze esterne che, inizialmente, limitavano eccome il proprio raggio d'azione. 
I primi due esempi che mi vengono in mente sono Benito Mussolini ed Alcide De Gasperi: a prescindere dagli ovvi strapiombi che separano i due, entrambi hanno dovuto far fronte a poteri particolari con cui convivere prima di attuare (manco completamente) la loro politica.
Mussolini fu addirittura scelto dalla borghesia industriale nei primi anni di governo, e anche nei primi anni della dittatura dovette convivere a fatica sia con la Chiesa che con la Monarchia: ciò non impedi di avviare la strada delle azioni sociali ed economiche che divennero marchio di fabbrica del regime negli anni '30.
Se il dittatore di Predappio costruì lo stato sociale italiano (una cosa che nei primi anni di potere non gli avrebbe concesso nessuno), il democratico di Trento riusciva ad affrontare, pur sottostando ai giganti vincitori, con enorme dignità le trattative di Pace, dando il via a quei provvedimenti necessari per far ripartire l'Italia dopo una guerra e una sconfitta disastrose, ponendo le premesse per salvare pure la pericolante Trieste.

Oggi Matteo Renzi vive un contesto estremamente internazionalizzato in cui l'Unione Europea si comporta come uno schiacciasassi, soprattutto nei riguardi di Paesi come il nostro che attraversano una crisi di autostima verticale da ormai quarant'anni. Premesso che non è mia intenzione paragonarlo ai signori di sopra, la speranza che ci sia la stoffa e l'intelligenza politica credo non sia del tutto vana.
Di costoro non ha sicuramente la forza politica e un orgoglio nazionale-patriottico molto limitato o comunque parecchio "timido" (anche se mostra interesse per un minimo approccio positivo ai problemi, a differenza della maggior parte degli italiani), potrebbe avere l'intelligenza e l'intraprendenza, almeno fino ad oggi le ha dimostrate. Portare a casa in appena 7 mesi le riduzioni irap e irpef, il pagamento dei debiti della PA, i primi voti favorevoli per le riforme del senato e delle province, non può essere considrato pochissimo, soprattutto in un sistema come quello italiano in cui, di fatto, a governare è l'ostruzionismo delle opposizioni o degli alleati. Questo indipendentemente da come la si veda su ogni singola legge o provvedimento.
Il punto iniziale però ritorna, provocatorio: la tattica di Renzi può funzionare? Evitare sempre lo scontro frontale può essere, con questo nuovo approccio fattivo, una via nuova per recuperare credibilità e poi - finalmente - cercare di far valere almeno in parte il fatto di essere il terzo bacino di consumo dell'Unione?
Io ne sono sempre stato scettico, ma considerato il buon approccio che - per ora - sta dimostrando il Presidente del Consiglio, credo sia giusto concederci almeno il dubbio.