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venerdì 29 gennaio 2016

Benigni l'incoerente: storie radical



"Caso Benigni-Costituzione". Per lo meno, seguendo il teatrale radical chic, nonchè politicamente correttissimo, Andrea Scanzi, giornalista per hobby che riscuote un notevole successo. Il nodo è la dichiarazione del comico toscano che, l'altro ieri, ha affermato di essere favorevole alla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione.

Il pensiero corre alla doppia serata (17 e 18 dicembre 2012) in cui Benigni presentò al pubblico un monologo sulla carta dal titolo eloquente La più bella del mondo.
Un monologo piuttosto banale (decisamente inferiore, nell'opinione di chi scrive, a I Dieci comandamenti, trasmesso nel Natale 2014) in cui il comico toscano si dilettava in sperticati elogi della nostra legge fondamentale, facendo riferimento al titolo piuttosto esplicito.

In conseguenza di questo ricordo, piuttosto sbiadito nei lettori, ma probabilmente molto lucido in qualcun altro, si attacca oggi Benigni per la sua affermazione, e sono partite sul web le varie scomuniche: dal "Roberto, ti ho voluto bene, [...] ma siamo al satirico che si fa mesto turibolo del Potere" (citazione dal Maestro Scanzi), al "Benigni, ma non dicevi che era la più bella del mondo?" che imperversa nelle solite immagini meme sui social.
Ora, evidentemente, oltre ai ricordi, sono anche le conoscenze della nostra carta costituzionale che mancano agli italiani e, in generale, ai cittadini comuni di qualsiasi Stato.

La gente non è nata per esercitare un ruolo giurisdizionale, e a ben vedere non è nemmeno giusto che lo faccia, al di là di tutte le frasi retoriche su quanto dovrebbe essere responsabile un popolo in materie così specifiche. Sicuramente l'ignoranza in Italia ha raggiunto livelli di guardia preoccupanti, ma è perfino banale che non si possa chiedere a tutti di interessarsi di diritto costituzionale.

E' quindi proprio del popolino che si approfittano intellettualoidi di varia specie (incluso lo stesso Benigni, sia chiaro), in generale conservatori che, forti del loro ruolo mediatico e talvolta accademico, ingannano apertamente le masse.
Non si spiegherebbero altrimenti le barricate per la riforma del 2005 votata dal governo Berlusconi e presentata come una forma di autoritarismo quasi sanguinario (mentre in realtà non conferiva al governo più poteri di quanti non ce ne fossero in tutte le altre costituzioni occidentali democratiche), nè si spiega come, in questo caso, e per una riforma ben più modesta come quella appena votata nel ddl Boschi, esponenti delle opposizioni gridino alla dittatura, ma anche come Gianni Ferrara, professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, si sia quasi stracciato le vesti parlando di "mutilazione della democrazia" e della "necessità di fermare l'eversione autoritaria".
Passiamo al cuore della questione, ossia la carta italiana. Prescindendo dal giudizio negativo che si può dare del più colossale pasticcio istituzionale mai creato in preda a contestualizzazioni storiche folli (leggi, la fine del fascismo), la nostra Costituzione è composta di 139 articoli: i primi dodici enunciano i principi fondamentali, mentre arrivati al numero 54 si comincia a parlare di diritti e doveri dei cittadini. La sezione che riguarda la riforma del Senato viene dopo, per la precisione nel Titolo I della seconda parte, mentre le modifiche che si vogliono introdurre al rapporto tra Stato e Regioni riguarderanno il famoso Titolo V, quindi ancora più "in giù".

Questa riflessione non è una difesa di Benigni di cui non sono neanche un estimatore (anzi) ma della realtà contro le solite ipocrisie: il comico toscano non ha mai detto, nello spettacolo di due puntate andate in onda sulla Rai tre anni fa, che non approvava un cambiamento della seconda parte della Costituzione. Anzi, il monologo iniziava, oltre che con i soliti sperticati elogi della carta, anche con un "Certo che si può cambiare, ma magari la seconda parte, la prima non si discute" e con una lettura successiva dei principi fondamentali, fermandosi quindi ai primi 12 articoli.

Il vero problema è che signorotti dello status quo e del click facile come Scanzi, così come tutti quelli che vogliono prendere per il naso gli italiani su una questione cruciale di cui evidentemente in pochi conoscono l'importanza ("non si mangia con le riforme" pluricit.), puntano su una sostanziale ovvietà, ossia la conoscenza pressochè nulla della carta stessa: è facile, quindi, gridare all'incoerenza contro un esponente fondamentale della cultura di massa che mai si vorrebbe perdere tra le fila degli oppositori, facile gridare alla dittatura, facile gridare agli allarmi antidemocratici. Come da tradizione conservatrice: di cui Benigni ha fatto parte, è bene dirlo per onore della verità, fino all'altro ieri, quando al potere c'era Silvio Berlusconi.

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