Stasera voglio dedicare un pensiero di solidarietà a un caro amico, di cui per premura non dirò il nome, autore di una lettera inviata al sottoscritto e ad altri.
Un amico che, come tanti altri, soffre di problemi che in una società come la nostra provocano danni enormi: avere una cultura, una personalità specifica e non pecoraia, ed essere dotato di un linguaggio fuori dal comune.
Questa lettera è una testimonianza di come le frasi fatte, retoriche, brutte, marce, sull'immagine delle classi cosìddette operaie, proletarie, meno abbienti (spesso rappresentati dai coatti o da chi ne "imita" le pessime gesta tra i ragazzotti borghesi figli di papà) e la loro supposta superiorità morale, in nome di un'inferiorità materiale che darebbe loro la presunta possibilità di apprezzare le piccole cose e la semplicità, siano emerite sciocchezze. Il nostro anonimo:
Cari amici,
correndo il rischio che qualcuno
di voi rimanga indignato per personale riscontro di quanto leggerà, è
bene che racconti quanto capitatomi questa mattina verso le 10.00 alla
stazione Eur Magliana. Andrea ricorderà che qualcosa di consimile è già
occorsa domenica 1° marzo: ciò che si è consumato stamani ha per poco
suscitato in me un'esplosione di violenza, per mia fortuna
opportunamente arginata.
Essendo sceso dalla linea Roma-Lido alla
su detta stazione, avendo còlto la coincidenza con il convoglio della
metro B, direzione Rebibbia, vengo urtato, nell'atto di salire le scale
che recano dal sottopassaggio alla banchina, da un passeggero che cerca
di sorpassarmi, e in modo sospetto: egli aveva descritto, nel suo
movimento, una traiettoria circolare poco utile allo scopo che si era
prefisso. Nell'urto, il suo telefono cellulare cade di piatto, e pur
avendo accennato, pur nella sufficienza usatagli per il carattere
sospetto della sua movenza, delle scuse, vengo rudemente richiamato
dall'uomo in parola con colpi di spanna sulle spalle. Noto che egli,
accompagnato da un ragazzo non meglio identificato, di aspetto
trasandato - proveniente senza dubbio dalle zone più malfamate di Ostia -
teneva in bocca uno spinello di hashish, e non faccio in tempo ad
accennare le parole: "Scusi, ma lei...", che questi mi risponde, di
grazia: "Scusa un cazzo". Molto seccato, lo mando a quel paese a mezza
bocca per non aggravare la situazione.
La vicenda avrebbe potuto
concludersi in questa maniera, se non fosse stato per i ghigni e i
motteggi che questo ignobile essere e il suo giovane contubernale,
poggiati sulla balaustra della scalinata che reca dal sottopassaggio
alla banchina, mi indirizzavano. Dunque decido di avvicinarmi per
esaminare le loro intenzioni...senza gli occhiali, che avevo riposto in
valigia. Solitamente, quando mi tolgo gli occhiali, mi preparo a
ricevere o ad assestare qualche coscienzioso ceffone. Mi apostrofavano,
senza indirizzarmi alcuno sguardo di sfida erano di quest'ordine: "A
dottò! Avvocato!", e al mio: "Ancora?", mi viene risposto: "Aòh, me devi
mezza piotta [gli ipotetici danni del telefono cellulare precipitato].
Rimango impassibile per qualche secondo a fissarli in cagnesco, per poi
voltarmi, tornare a fissarli e notare che si erano doverosamente
allontanati.
Ribadisco qui, in questa sede, che il diritto
all'esistenza dei cosiddetti "coatti", per difficili che possano essere
le loro condizioni di vita, per comprensibili che possano essere, giusta
la da noi avversata opinione di qualcuno molto avverso a noi, le
ragioni che giustificano la loro vile protervia, non può e non deve
essere sostenuto da nessuno che ancora aneli ad una società civile degna
di questo nome. Come soggetti di tal fatta non son degni compassione,
né timorato rispetto, ma astio, odio, così non meritano credito né
sostegno morale di alcun genere frasi di rito come: "sii superiore",
"non ti curar di lor, ma guarda e passa" [versione errata di Dante Inf.
III, 51] et similia.
Chiudo queste mie considerazioni, che avrete
molte volte sentito scaturire dalle mie labbra, con le disaffette
riflessioni di una donna che resi destinataria, due anni fa, di una mia
profusa ma sincera confessio:
Il nocciolo della questione credo
sia il fatto che, ognuno di noi, vive delle storie tristi che segnano,
ed ognuno di noi crederà sempre che le sue sono più tristi ed esclusive
di quelle degli altri.
Forse la maniera di affrontarle è ciò che
fa davvero la differenza, bisognerebbe essere sempre un tantino
distaccati da renderci conto che tutto sommato, forse, i nostri problemi
sono problemi auto creatisi mentalmente, come se fosse tutto un grande
viaggio immaginario. Infatti, se fossi stato più forte, l’episodio della
scuola non ti avrebbe segnato tanto, se fossi stato uno di quei
bulletti della scuola ti avrebbe dato anzi un tocco di charme in più.
Infatti cosa fa la differenza? Forse è proprio vero che quando uno ci
crede veramente nelle cose ci diventa, se ti senti bello convinci anche
gli altri di esserlo, se ti senti forte intimorisci gli altri, e, se ti
senti debole, è come se dessi agli altri il permesso di prevaricare.
Un abbraccio, cari amici. Sappiate che vi voglio bene.
Un abbraccio anche a te, vera prova di quello che, guardando al mondo intero, è solo un teorema: l'unicità di ciascuno di noi.
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